RIFIUTO DI VENDERE UN BENE RICEVUTO IN DONAZIONE E REVOCA DELLA LIBERALITÀ

Hai donato un bene e adesso lo vuoi in dietro?

Il signor. Vito, celibe, proprietario di alcuni immobili, decide di donare a Donato, suo nipote prediletto, una villa a Napoli. Trascorso qualche anno Vito, a causa di difficoltà economiche sopravvenute, chiede al nipote Donato di vendere la villa oggetto della donazione ma quest’ultimo gli oppone un netto rifiuto.

Il sig. Vito prima di recarsi a un legale per procedere alla revoca della donazione per ingratitudine, ci ha chiesto una consulenza giuridica sul suo caso per sentirsi ancor più preparato sulla questione che in futuro dovrà affrontare e fugare così, ogni dubbio.

Per cercare di risolvere il quesito prospettato si impone innanzitutto l’analisi generale dell’istituto della donazione previsto dagli artt. 769 e seguenti c.c.

La donazione è il contratto con il quale una parte (donante), disponendo di un proprio diritto, arricchisce un’altra (donatario) trasferendole il diritto stesso o, più semplicemente, assumendo verso di essa un’obbligazione; come normalmente si verifica in ogni attività negoziale che realizzi una liberalità, all’arricchimento del donatario corrisponde un depauperamento più o meno proporzionale della sfera patrimoniale del disponente.

In osservanza del principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui, la donazione è stata disciplinata come contratto, per cui devono considerarsi superate le vecchie teorie anti-contrattualistiche; tuttavia, è doverosa la precisazione che pur avendo quasi sempre struttura contrattuale (perché richiede per la perfezione l’incontro di volontà di due parti), può anche attuarsi in forme diverse dal contratto.

L’art. 769 c.c., nel delineare il contratto di donazione, segnala come indefettibile l’elemento psicologico dell’animus donandi: quest’ultimo è da intendersi come lo spirito di liberalità che accompagna ogni attribuzione patrimoniale donativa, consentendo all’interprete di distinguere la stessa donazione dai negozi di adempimento di un obbligo giuridico o satisfattori di un dovere morale o sociale in ipotesi di obbligazione naturale. (art. 2034 c.c.).

Ulteriore elemento della donazione è l’arricchimento del patrimonio del donatario con il correlativo depauperamento di quello del donante. Sotto il profilo formale la donazione è un negozio solenne che esige l’adozione di una determinata forma ad substantiam: deve essere stipulata per atto pubblico ed alla presenza irrinunziabile di due testimoni; è la stessa legge, infatti, che in deroga al principio generale della libertà della forma impone, a pena di nullità, la stipulazione per atto pubblico (art. 782 c.c.).

Quanto agli effetti, pur non potendosi escludere che attraverso il contratto di donazione, il donante si limiti ad eseguire una determinata prestazione (che sarà normalmente di dare), in genere la donazione produce effetti reali, mirando a realizzare il trasferimento di un diritto di proprietà o altro diritto reale o di credito od a costituire ex novo un diritto reale. In ogni caso il contratto si perfeziona con il soie) consenso delle parti.

L’art. 800 c.c. prevede che «la donazione può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli»; si tratta di una figura del tutto particolare di inefficacia sopraggiunta, sottoposta all’espressione di una volontà del donante, dotata di propria disciplina, la quale viene ad aggiungersi agli altri casi di inefficacia contemplati dalla legge.

Al donante ed ai suoi eredi è riconosciuto il diritto potestativo di provocare attraverso una domanda giudiziale e una sentenza costitutiva l’inefficacia della donazione compiuta: la sentenza che pronuncia la revoca condanna il donatario alla restituzione dei beni; non pregiudica, però, i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda di revoca, salvi gli effetti della trascrizione della domanda. Se il donatario ha alienato i beni deve restituirne il valore con riguardo al tempo della domanda e i frutti dal giorno della medesima.

Le ipotesi previste sono tassative.

L’art. 801 c.c., in tema di revocazione per ingratitudine, disciplina una delle ipotesi tassative di revocabilità della donazione, elencando le cause che giustificano la relativa domanda: «La domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2, e 3 dell’art. 463 c.c., ovvero si è reso colpevole di ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433, 435 e 436».

La fattispecie da esaminare ai fini del quesito proposto è quello della ingiuria grave verso il donante.

L’ingiuria grave, che legittima la revocazione della donazione per ingratitudine, consiste in un comportamento lesivo del patrimonio morale del donante e del dovere etico di gratitudine, che riveli un chiaro moto di avversione nei suoi confronti; la valutazione della gravità non può ispirarsi a parametri assoluti, ma deve essere rapportata all’ambiente, all’istruzione, al temperamento, all’educazione delle parti, alle modalità soggettive ed oggettive ed alle circostanze di tempo e luogo. Non giustificano, invece, la revoca della donazione i comportamenti del donatario che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell’animo del donante, non sono volti direttamente a colpirlo.


L’ingiuria grave prescinde dalla nozione penalistica di ingiuria, risultando da questa autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità e piuttosto connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolta, per l’effetto, contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e connotazioni di gravità non soltanto oggettive, ma anche «disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune» (Cass. 28897 n. 8165).

La giurisprudenza, più volte, è intervenuta chiarendo che:

L’ingiuria grave, che l’art. 801 c. c. prevede quale motivo di revocazione della donazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all’onore ed al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, si da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l’agente, che ripugna alla coscienza comune.

(La S.C., nel ribadire detto principio, ha confermato la decisione dei giudici di merito che non avevano ritenuto rappresentasse ingiuria grave l’aver presentato denuncia querela contro il donante in quanto, all’esito del giudizio penale, non era stata dimostrata l’infondatezza dell’accusa) (Cass. 511/2001, n. 13632).

L’ingiuria grave che l’art. 801 c. c. prevede quale motivo di revocazione della donazione ricorre quando il beneficiato ha leso con il proprio comportamento il patrimonio morale ed affettivo del donante se la lesione è avvenuta per effetto dell’animosità ed avversione nutrite dal donatario avverso il donante.

Pertanto, non costituisce offesa grave ai sensi dell’art. 801 c.c. la vendita da parte del donatario dell’appartamento ricevuto in donazione, né la presentazione all’Autorità di Pubblica Sicurezza di un esposto contro il donante, ove tale iniziativa sia volta a far cessare un comportamento illegittimo del donante nei confronti del donatario. (Nella specie, il donante aveva cambiato la serratura dell’appartamento impedendone al donatario l’accesso) (Cass. 295/98, n. 5310).

L’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal magistero penale è, purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto, connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l’effetto, contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto) disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune.

(Nella specie, la Corte di merito aveva ravvisato, nel comportamento del donatario, gli estremi dell’ingratitudine per avere questi più volte gravemente ingiuriato la donante rivolgendole l’appellativo di «puttana», «delinquente», «disgraziata», «disonesta», e per averla minacciata di morte e di prenderla a calci, anche come reazione al rifiuto della predetta di rendere disponibile l’oggetto della donazione alla scadenza prevista) (Cass. 28/8/97, n. 8165).

La revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo dell’ingiuria grave richiede un’azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell’animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo, non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore. (Cass. 5/11/90, n. 10614).

L’ingiuria grave, che l’art. 801 c.c. prevede quale motivo di revocazione della donazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all’onore ed al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, comportando l’espressione di un sentimento di avversione che manifesti quella ingratitudine, verso chi ha beneficiato l’agente, che ripugna alla coscienza comune. (Cass. 20/8/90, n. 8445).

Non costituiscono ingiuria grave verso il donante, ai fini della revoca della donazione per ingratitudine, né il rifiuto di acconsentire alla richiesta del donante di vendita dell’immobile oggetto di donazione, né quei comportamenti di reazione legittima a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla (Cass. 16/3/2004 n. 5333).

La revoca della donazione, disciplinata dall’art. 800 c.c., deve essere considerata come una figura tutta particolare di inefficacia sopraggiunta, sottoposta all’espressione di una volontà del donante. e)

L’art. 801 c.c. (revocazione per ingratitudine) disciplina una delle ipotesi tassative di revocabilità della donazione, elencando le cause che giustificano la relativa domanda.

L’ingiuria grave che l’art. 801 c.c. prevede quale motivo di revocazione della donazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all’onore ed al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, comportando l’espressione di un sentimento di avversione che manifesti quella ingratitudine verso chi ha beneficiato l’agente, che ripugna alla coscienza comune.

La revoca della donazione per ingratitudine prevista dall’art. 801 c.c. sotto il profilo dell’ingiuria grave richiede un’azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità.

La nostra consulenza giuridica

La soluzione del quesito tiene conto essenzialmente del contributo giurisprudenziale sull’argomento e dell’opinione dominante in dottrina. La pretesa di Vito è infondata e quindi la richiesta di revoca della donazione per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c. non potrà essere assolutamente accolta. Ed infatti, secondo la prevalente giurisprudenza, non può rientrare nella fattispecie dell’ingiuria grave verso il donante, il rifiuto che Donato ha opposto nel momento in cui Vito donante gli ha chiesto di alienare l’immobile in oggetto della donazione; tale richiesta avrebbe in realtà mascherato una pretesa di restituzione del bene, pretesa legittimamente rifiutata indipendentemente dai motivi della stessa.

Né possono essere ritenuti ingiuria grave tutti quei comportamenti di reazione legittima, perché attuata attraverso gli strumenti offerti dall’ordinamento, a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla. Pertanto, tutto ciò premesso, mancando il requisito dell’ingiuria grave, non può assolutamente concretizzarsi l’ipotesi della revoca della donazione per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c.

Concludendo invitiamo il nostro utente a non imbattersi in ulteriori controversie giuridiche perché spenderebbe soldi senza raggiungere i suoi obiettivi.

Non male però come guida per orientarsi prima di recarsi ad un avvocato per dargli mandato.


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