CONSULENZA GIURIDICA SU MARCHI NAZIONALI E INTERNAZIONALI
Siamo stati contattati da un’azienda che produce lavatrici per la seguente situazione: il marchio delle lavatrici è <<lux>> ma questo non è stato registrato. Succede che queste lavatrici venivano venduta per il tramite di un’altra azienda che casualmente si accorge che il marchio non era registrato e provvede direttamente a farlo.
L’azienda produttrice delle lavatrici avendo saputo circa la registrazione del marchio da parte dell’azienda che li vende ci contatta per conoscere quali siamo gli strumenti a sua tutela.
Il marchio è un segno distintivo idoneo a consentire al pubblico di distinguere i prodotti o i servizi di un imprenditore da quelli di un altro imprenditore. Esso non mira a porre in evidenza le caratteristiche e le qualità del prodotto quanto piuttosto a permetterne e a facilitarne l’individuazione da parte del consumatore e dei terzi in generale. Il marchio è disciplinato sia dall’ordinamento nazionale sia da quello internazionale. 11 marchio nazionale è regolato dagli ara. 25692574 ss. c.c. e da una legge speciale, il R.D. 2161942, n. 929 (cd. legge sui marchi), gli uni e l’altra profondamente modificati dal D.Lgs. 4121992, n. 480.
La legge marchi, inoltre, è stata oggetto di ulteriori modifiche per effetto del D.Lgs. 1931996, n. 198 e del D.Lgs. 8101999, n. 447.
Il marchio internazionale, invece, è disciplinato, oltre che da alcune meno recenti convenzioni, dal Regolamento CE n. 40/94 che ha istituito il marchio comunitario. Il marchio può consistere tanto in una immagine (cd. marchio emblematico) quanto in una denominazione o in un segno (cd. marchio denominativo), purché presenti carattere distintivo e cioè abbia il carattere della liceità , verità, originalità e novità.
Quanto al requisito della liceità, il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Il marchio deve altresì essere veritiero, ovvero «non decettivo»; in altri termini, non deve avere una provenienza, una natura o una qualità atte ad ingannare il pubblico.
In giurisprudenza si è precisato che la decettività del segno intrinseca ed originaria è sanzionata con la nullità del marchio, mentre la decettività sopravvenuta per effetto dell’uso concreto di un marchio in sé originariamente lecito è sanzionata con la decadenza (Cass. civ. 3276/96). Il marchio, inoltre, deve essere diverso dalla denominazione generica del prodotto o del servizio (originalità) e deve essere diverso dai marchi altrui preesistenti (novità).
Questi ultimi due requisiti di validità del marchio hanno la funzione, oltre che di evitare il rischio di confusione per il pubblico fra tutti i segni distintivi presenti sul mercato, anche quella di impedire il cd. «rischio di associazione» fra segni, ovvero di impedire che i consumatori, pur non confondendo i due marchi, siano portati a credere che fra le due imprese produttrici esista qualche vincolo contrattuale o di gruppo. Un segno originariamente privo, o comunque dotato di scarsa capacità distintiva, in seguito all’uso intenso fattone dal titolare e ad altre circostanze di fatto, può assumere un secondo e specifico significato (secondary meaning) ed acquistare o rafforzare la propria capacità distintiva ed essere, quindi, registrato tempo, acquistare capacità individualizzante, trasformandosi da nome generico a nome specifico del prodotto.
Fenomeno contrario a quello descritto è la volgarizzazione, che si ha quando un segno,’ dotato originariamente di capacità distintiva, divenga in seguito il termine comune e generico per indicare un prodotto o un servizio; la volgarizzazione del marchio fa venir meno la sita capacità distintiva e se registrato esso è nullo. I marchi si distinguono in diversi tipi, fra gli altri si possono ricordare: i marchi deboli, consistenti in segni concettualmente collegati con il prodotto, perché espressivi o esprimenti indicazioni o figure descrittive o comunque comuni e perciò dotati di scarsa capacità distintiva; da essi vanno distinti i marchi forti, carenti, invece, di qualsiasi nesso significativo o anche solo evocativo con i prodotti o servizi. Si parla, inoltre, di marchio celebre o notorio, per indicare un segno oggetto di pubblicità intensa e riuscita, presente sul mercato da tempo e utilizzato per prodotti apprezzati dal pubblico. L’art. 2570 c.c. disciplina, poi, il marchio collettivo, ovvero quel segno che tende proteggere indistintamente i prodotti di un gruppo di imprese associate tra di loro.
Il marchio attribuisce al titolare l’uso esclusivo del segno, vietando ai terzi la registrazione e l’uso dello stesso segno o di segni confondibili e comunque interferenti con la sua sfera di rilevanza. Il diritto all’uso esclusivo del marchio può acquistarsi o con la registrazione o con l’uso di fatto e si distingue rispettivamente tra marchio registrato e non registrato.
La registrazione, che viene disposta dall’ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero delle attività produttive, attribuisce l’esclusiva dell’utilizzo del segno, su tutto “il territorio nazionale, per dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda. La registrazione può essere rinnovata, con efficacia sempre decennale, per un numero illimitato di volte. Il marchio non registrato (marchio di fatto) è disciplinato dall’art. 271 c.c. Con tale norma il legislatore tutela anche chi usa un marchio non registrato conferendo il diritto di esclusiva sulla base del come marchio. In giurisprudenza si sottolinea concordemente che un’espressione generica, e perciò priva di capacità distintiva, può, con l’uso che ne venga fatto in modo intenso e per un congruo periodo di solo uso di fatto del marchio e sull’effettivo grado di notorietà raggiunto. Tale tutela sarà, quindi, più o meno ampia a seconda che il marchio sia noto su tutto il territorio nazionale o solo localmente; tuttavia, la protezione accordatagli è pur sempre minore rispetto al marchio registrato.
Chi ottiene la registrazione, infatti, gode della presunzione assoluta della titolarità del diritto e di una protezione estesa a tutto il territorio nazionale. Chi vanta, invece, solo un preuso, deve innanzitutto provarlo e riceve una tutela limitata all’ambito entro il quale il preuso è avvenuto.
Il marchio in generale
Il carattere di originalità, ai fini della tutela del segno distintivo come marchio, non consiste necessariamente nella individuazione e nell’utilizzazione di un termine o di una espressione del tutto nuovi, potendo, al contrario, ammettersi anche l’uso di una espressione ricavata dalla storia, dalla letteratura o dalla tradizione popolare, anche se divenuta di comune conoscenza, purché l’accostamento della espressione al prodotto rappresenti applicazione di un’idea originale, e non rievochi nel medio consumatore un collegamento con prodotti dello stesso genere di quello che si intende contrassegnare (Cass. 1822000, n. 1820).
In tema di marchio, la tutela del cosiddetto secondary meaning (fenomeno che si verifica tutte le volte in cui un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintive per genericità mera descrittività o mancanza di originalità, acquisti in seguito, tali capacità in conseguenza del relativo uso di mercato, così che l’ordinamento si trova a recepire il «fatto» della acquisizione successiva di una «distintività» attraverso un meccanismo di «convalidazione» del segno), espressamente prevista dalla legge marchi nella sua attuale formulazione, deve essere applicata anche ai segni distintivi anteriori alla sua entrata in vigore, giusta previsione dell’art. 89, n. 2, legge 480/92 (Cass. civ., sez. I, 26199, n. 697).
Perché si abbia volgarizzazione del marchio occorre che la parola in cui esso consiste sia divenuta il termine usuale con il quale i consumatori, od anche soltanto i rivenditori, definiscono non solo un determinato prodotto, proveniente da una certa fonte produttiva, ma ogni prodotto dello stesso genere da chiunque ne venga effettuata la produzione (Cass. civ., sez. I, 18690, n. 6119).
Il marchio collettivo è figura profondamente diversa da quella del marchio d’impresa tout court perché non svolge funzione distintiva dell’origine dei prodotti di una determinata impresa, ma una funzione di garanzia delle caratteristiche e delle qualità che il titolare si obbliga a verificare attraverso opportuni controlli sulle merci dei produttori (o dei commercianti) ai quali è stato concesso l’uso (Trib. Milano, 9680).
I marchi d’impresa dotati di un tipico potere individuante sono considerati forti quando sono costituiti da parole, figure o altri segni che, essendo frutto di fantasia, di trasposizione metaforica o di altro originale accorgimento, non presentano, almeno immediatamente, alcuna aderenza concettuale con il prodotto da essi contraddistinto, potendo anche una parola comune essere collegata al prodotto con un accostamento di pura fantasia che le attribuisca efficacia individualizzante originale (Cass. 221176, n. 4384).
Il marchio deve costituire un segno distintivo del prodotto e non un’indicazione delle sue caratteristiche e qualità (art. 18, n. 2, r.d. 2161942, n. 929); esso, quindi, per il riconoscimento di esclusività e di tutela, deve essere dotato di un tipico potere individuante e deve, pertanto, essere costituito da parole che non presentino alcuna aderenza concettuale coni prodotti da contraddistinguere (Cass. 201073, n. 2657).
Sul preuso locale e preuso nazionale
Il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare (fatta salva la convalidazione di cui all’art. 48 del regio decreto 2161942, n. 929) il carattere della novità che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione (Cass. civ., sez. I, 2692003 n. 14342).
In tema di convalidazione del marchio, e con riferimento alla normativa precedente alla riforma introdotta dal D.Lgs. n. 480 del 1992, è consentita, ai sensi dell’art. 48 del R.D. n. 929 del 1942, la convalidazione del marchio solo nel caso in cui, già preesistendo un marchio di fatto, venga ad essere successivamente registrato un marchio identico; la convalidazione non è, invece, possibile nel caso di conflitto di marchi entrambi registrati, allorché anche il primo marchio sia stato oggetto di preventivo brevetto. Nell’ipotesi, dunque, di confondibilità di marchi entrambi registrati, entra in applicazione l’art. 47 del menzionato R.D., in virtù del quale il rilascio di un brevetto per un marchio comporta la nullità di quello successivo, concesso per il medesimo segno distintivo. (Fattispecie sottratta catione tenzporis alla disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 480 del 1992) (Cass. civ., sez. I, 11102002, n. 14483).
A norma dell’art. 9 R.D. n. 929 del 1942, in caso di preuso locale di un marchio di fatto, il preutente del marchio non registrato ha diritto di continuare l’uso di esso, anche ai fini pubblicitari, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di marchio simile od uguale da parte di altro soggetto; tuttavia, in mancanza di specifica previsione normativa in ordine al conflitto tra preutente e successivo registrante, alla luce di una lettura sistematica dell’art. 9 citato nell’ambito delle altre disposizioni della legge medesima in tema di preuso (in particolare, gli art 17 e 48),e tenuto conto del favor legis per il registrante desumibile sia dalla più estesa ed intensa tutela (anche penale) riservata dall’ordinamento al marchio registrato sia dagli orientamenti emergenti dalla novella del D.Lgs. n. 480 del 1992 attuativa della disciplina comunitaria, è da escludere che, al di là della espressa previsione del diritto di continuare nell’uso del marchio di fatto, spetti altresì al preutente il diritto all’utilizzazione esclusiva di detto marchio nell’ambito dell’uso di fatto, e quindi il diritto di vietare al successivo registrante l’utilizzo di esso nella zona di diffusione locale, essendo invece configurabile, alla stregua del complesso delle disposizioni in materia, una sorta di regime di «duopolio» atto a consentire nell’ambito locale, la «coesistenza» del marchio preusato e di quello successivamente registrato (Cass. civ., sez. I, 27398, n. 3236).
La tutela del marchio non registrato (cosiddetto marchio di fatto) trova fondamento nella funzione distintiva che esso assolve in concreto, per effetto della notorietà presso il pubblico, e, pertanto, presuppone la sua utilizzazione effettiva, con la conseguenza che la tutela medesimà non è esperibile in rapporto a segni distintivi di un’attività d’impresa mai (o da lungo tempo non) esercitata dal preteso titolare. (Cass. civ., sez. I, 1494, n. 3224).
Perché l’uso di fatto di un marchio d’impresa non registrato goda della tutela prevista dagli artt. 2571 cod. civ. e 9 R.D. 2161942, n. 929, nei limiti della sua concreta diffusione, è necessario che il marchio stesso abbia carattere distintivo e possieda i requisiti di novità ed originalità propri di quello registrato, e la relativa indagine, traducendosi in un apprezzamento di fatto, è rimessa al giudice del merito ed è sottratta al sindacato in sede di legittimità se fondata su motivazione giuridicamente corretta e logicamente congrua (Cass. civ., sez. I, 201082, n. 5462).
L’uso del marchio non registrata è sufficiente ad integrare la fattispecie costitutiva del segno distintivo e il correlativo acquisto del diritto assoluto sul marchio da parte di colui che, attraverso l’uso, abbia realizzato la funzione individuatrice del medesimo in presenza dei requisiti della liceità e della novità: detto uso conferisce perciò al titolare del marchio di fatto il diritto di utilizzazione esclusiva nell’ambito dell’uso di fatto, generale o locale, per lo stesso genere di prodotto, nonché il diritto di inibirne l’utilizzazione, entro questi limiti, da parte di altri (Cass, civ., sez. I, 241982, n. 2024).
Il marchio è un segno distintivo idoneo a consentire al pubblico di distinguere i prodotti o i servizi di un imprenditore da quelli di un altro imprenditore. Ai sensi dell’art. 2571 c.c., chi ha effettivamente usato un marchio non registrato ha facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta.
Per i marchi non registrati occorre accertare sia l’uso che la sua estensione territoriale. Se l’uso riguarda l’intero territorio nazionale, l’ambito di protezione coincide con l’intero territorio dello Stato, mentre, se l’uso riguarda un ambito più limitato, la protezione del marchio coinciderà solo per questo ambito.
Il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare (fatta salva la convalidazione di cui all’art. 48 del regio decreto 21 giugno 1942 n. 929) il carattere della novità che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione (Cass. civ., sez. I, 2692003 n. 14342).
IL PARERE DEI NOSTRI CONSULENTI GIURIDICI
Nella fattispecie oggetto di parere viene in rilievo la problematica relativa al grado di protezione accordata dall’ordinamento al marchio di fatto. L’utilizzazione esclusiva di un marchio si può acquistare mediante l’uso sia apponendolo sui prodotti sia adoperandolo nella pubblicità. Se l’uso è avvenuto in modo da rendere noto il marchio solo in una parte del territorio, cioè una rilevanza meramente locale, il diritto acquistato riguarderà solo questa parte. Ne consegue che, essendo il marchio ancora nuovo per il resto del territorio, sullo stesso può acquistare, per registrazione, il relativo diritto anche un altro imprenditore concorrente. Secondo una parte della giurisprudenza, per tale eventualità, si verifica la coesistenza tra due marchi identici o simili, in quanto il preuso locale del marchio non registrato consente di poter continuare ad utilizzare tale segno nella parte del territorio in cui ha notorietà; la registrazione, invece, attribuisce il diritto all’uso del marchio in tutto il territorio nazionale. Vi sarà, pertanto, una parte di detto territorio in cui coesisteranno due marchi uguali. La dottrina allo stesso modo, tende oggi ad ammettere la possibilità di un uso contemporaneo di marchi confondibili. Questa soluzione viene argomentata da alcune considerazioni testuali. In primo luogo, si afferma che la «legge marchi» all’art. 48, in tema di convalidazione del marchio, prevede espressamente la possibilità di una ipotesi di coesistenza di marchi confondibili. Inoltre la legittimità della soluzione viene ricavata dall’art. 17, lett. b), «legge marchi» che va interpretato nel senso che l’uso precedente su base locale non toglie la novità richiesta per la registrazione di un marchio. Sarà, pertanto, onere delle parti provvedere ad una differenziazione del segno.
Diversa, invece, è la situazione del marchio di fatto usato con notorietà nazionale, come nella fattispecie oggetto di parere, giacché, in tal caso, proprio la conoscenza di essa come segno distintivo dei prodotti fabbricati e messi in commercio da altra impresa vale a togliere al marchio il carattere della novità e quindi la condizione per ottenerne validamente la registrazione. L’impostazione prevalente, infatti, afferma che se il marchio non registrato ha una notorietà generale (cd. marchio notorio), la registrazione non è ammissibile, e, se avvenuta, deve considerarsi nulla per mancanza del requisito della novità.
Tale principio, accolto anche dalla giurisprudenza più recente, è tuttavia limitato dalla previsione dell’art. 48 «legge marchi». Secondo tale norma il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale e che abbia, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non può domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all’uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in malafede.
Alla luce di tali considerazioni, la società Alfa può ancora far valere la nullità della registrazione del marchio «Lux» effettuata da Tizio, purché agisca in giudizio tempestivamente secondo il disposto dell’art. 48 «legge marchi».