IL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
Sommario:
- Il rapporto di pubblico impiego.
- Il quadro normativa antecedente il processo di privatizzazione.
- La riforma del pubblico impiego (D.Lgs. 29/1993).
- La seconda privatizzazione del pubblico impiego.
- Testo Unico del pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001). 6. La riforma Brunetta: L.15/2009 e D.Lgs. 150/2009.
- L’attuazione della riforma Brunetta negli enti locali.
A) Concetto
Il rapporto di impiego pubblico è quel rapporto di lavoro in cui una persona fisica pone volontariamente la propria attività, in via continuativa, e dietro retribuzione, al servizio dello Stato o di un ente pubblico non economico, assumendo particolari diritti e obblighi.
La Corte di Cassazione (sent. n. 618 del 17 febbraio 1975) ha ritenuto che si è in presenza di un rapporto di pubblico impiego, quando concorrono le seguenti condizioni:
- a) che l’ente datore di lavoro sia pubblico;
- b) che i compiti affidati al lavoratore attengano ai fini istituzionali dell’ente datore di lavoro;
- c) che l’assunzione avvenga per prestazioni continuative e durevoli;
- d) che vi sia predeterminazione della retribuzione;
- e) che sussista un atto di nomina.
B) Caratteri Il rapporto
«impiego si configura come:
— rapporto volontario: sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto è richiesta non solo la volontà della P.A., ma anche quella del dipendente;
— rapporto strettamente personale: la specifica capacità intellettiva e tecnica richiesta per ogni singolo ufficio e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae;
— rapporto giuridico bilaterale: esso, infatti, comporta diritti ed obblighi reciproci per ciascuna delle parti; — rapporto di subordinazione gerarchica: la subordinazione gerarchica e disciplinare differenzia, infatti, l’impiego dall’incarico professionale (locatio operis).
C) Natura giuridica
Complesso è il problema della natura giuridica del rapporto di lavoro con gli enti pubblici non economi.
Fino agli anni Novanta la natura pubblica del rapporto non è stata mai messa in discussione, ma con l’emanazione del D.Lgs. 29/1993 ha avuto inizio quello che è stato etichettato come il processo di privatizzazione del pubblico impiego attraverso il quale è stato realizzato l’avvicinamento del lavoro pubblico a quello privato.
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IL QUADRO NORMATIVO ANTECEDENTE IL PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE
L’evoluzione storica della legislazione sul pubblico impiego, antecedente la fase cd. della privatizzazione (D.Lgs. 29/1993) si articola in quattro tappe fondamentali.
Legislazione anteriore al testo unico del 1957
Dalla costituzione dello Stato unitario, il rapporto di pubblico impiego è stato oggetto di una disciplina rigorosamente unilaterale, scandita da atti di natura legislativa o regolamentare, in seno alla quale non è mai stato riconosciuto rilievo alcuno alla fonte contrattuale. I pubblici dipendenti, versanti in una posizione di assoluta subordinazione gerarchica, erano ripartiti per gruppi o stadi, ai quali corrispondevano i livelli stipendiali. In particolare, la disciplina del rapporto di impiego era scandita dal R.D. 11 novembre 1923, n. 2395 (ordinamento gerarchico) e dal R.D. 30 ottobre 1923, n. 2960 (stato giuridico). Di particolare severità erano i doveri imposti ai dipendenti, per i quali era periodicamente prevista la compilazione di note caratteristiche —attestanti capacità, zelo, attitudini — mentre assai scarna risultava la trama dei diritti riconosciuti.
Arco temporale tra il 1957 e il 1972
Un primo passo verso la parificazione tra lavoro privato e pubblico è stato compiuto con il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, contenente il Testo unico degli impiegati civili dello Stato, che ha sancito la sostituzione dei gruppi e dei gradi rispettivamente con le carriere e le qualifiche, nonché una attenuazione della valenza gerarchica del precedente modello.
Gli impiegati civili (dipendenti pubblici – impiegati statali)sono stati inquadrati in quattro carriere (direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria); nell’ambito di ogni carriera era enucleata una scala di qualifiche (di tipo gerarchico, non funzionale); alla qualifica iniziale si accedeva mediante concorso, mentre a quelle successive si perveniva mediante promozione. In questa fase sono comunque notevoli le differenziazioni tra impiego pubblico e privato; in particolare nell’ordinamento originario rilevano i seguenti aspetti:
— irrilevanza della fonte contrattuale collettiva nella disciplina del rapporto;
— costituzione del rapporto con atto unilaterale della P.A. (decreto di nomina) e non sulla base di un contratto;
— competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (T.A.R. e Consiglio di Stato) in luogo del giudice del lavoro.
La specialità della funzione dirigenziale rispetto a quella direttiva è stata, successivamente, riconosciuta con il D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, con la creazione di una carriera a parte, articolata in tre qualifiche (dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente).
Legge 11 Luglio 1980, .n. 312 La L. 312/1980
Questa legge ha soppresso il regime delle carriere ed istituito le qualifiche funzionati, in ordine ascendente, in relazione alla qualità della prestazione ed al grado di responsabilità dell’impiegato. Ciascuna qualifica, alla quale corrisponde un livello retributivo periodicamente aggiornato in base a scatti e classi di stipendio, è stata articolata in diversi livelli professionali, definiti’ in base alla tipologia dell’attività lavorativa.
Le qualifiche originariamente previste erano otto. La nona qualifica (destinata a ricomprendere gli ispettori generali ed i direttori di divisione in esaurimento) è stata introdotta con la L. 24 marzo 1986, n. 78. La novità di maggior spicco contenuta nella legge in menzione è rappresentata dal riconoscimento, sia pure in via sostanzialmente tacita, del dovere di produttività del pubblico dipendente.
L’obiettivo fondamentale perseguito dal legislatore è costituito dal recupero della produttività e dal miglioramento dei livelli di efficienza nella prestazione dei servizi, da conseguirsi con l’introduzione di idonee metodologie di valutazione, atte a consentire l’individuazione e l’impiego di standards di esecuzione differenziati, secondo il tipo di attività individuale e di gruppo.
Legge quadro n. 93/1983.
Tale normativa ha proseguito l’evoluzione precedentemente delineata, responsabilizzando le organizzazioni sindacali e riconoscendo il ruolo primario della contrattazione collettiva nella regolamentazione di talune materie non riservate alla legge o agli atti unilaterali di organizzazione della P.A.
Il modello è tuttavia ancora lontano da quello del lavoro privato, in quanto la fonte negoziale, per spiegare i propri effetti, necessita di un apposito atto legislativo di recepimento (un decreto del Presidente della Repubblica) mediante una complessa procedura: in pratica, mentre nel lavoro privato il contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali costituisce fonte diretta di disciplina del rapporto di lavoro, nel pubblico impiego esso era produttivo di effetti solo nella misura in cui fosse stato recepito da un provvedimento avente natura ed efficacia regolamentare posto in essere unilateralmente dalla P.A. In ogni caso la legge quadro del 1983 pone importanti principi tra i quali:
— il recupero dell’efficienza del settore del pubblico impiego;
— eguale trattamento di tutti i pubblici dipendenti;
— I’ omogeneizzazione delle posizioni giuridiche;
— la perequazione e trasparenza del trattamento economico;
— la disciplina collettiva degli accordi contrattuali;
— il generale riordinamento degli uffici;
– il codice di autoregolamentazione del diritto di sciopero; — il riassetto dei profili professionali e tecnici; — l’affermazione del principio di mobilità del personale.
3. LA RIFORMA DEL PUBBLICO IMPIEGO (D.LGS. 29/1993)
A) Il processo di privatizzazione: D.Lgs. 29/1993
Nonostante gli sforzi compiuti dal legislatore, la legge quadro dell’83 si è rivelata in sostanza un fallimento in quanto, nonostante l’enunciazione della volontà di colmare le distanze tra lavoro pubblico e privato, la normativa relativa all’impiego pubblico restava profondamente differenziata rispetto a quella dell’impiego privato. Ciò era dimostrato, in particolare, dal regime della contrattazione collettiva la quale non costituiva, come accennato, fonte diretta ed immediata di disciplina del rapporto di lavoro. • Queste lacune di fondo sono state aggravate dal moltiplicarsi di disfunzioni di varia natura, quali la violazione ,• •.• • niiadrn fra sistematica dei tempi previsti dalla legge per la. definizione delle procedure contrattuali, la violazione dei tetti di , di emanare entro trenta giorni uno o più decreti legislativi in materia di razionalizzazione del pubblico impiego. Detta delega ha trovato attuazione con l’emanazione del D.Lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 (Norme in materia di razionalizzazione dell’organizzazione dell’amministrazione e revisione della disciplina del pubblico impiego), che ha suggellato quel faticoso processo di avvicinamento del lavoro pubblico a quello privato. Con tale provvedimento è stata realizzata la cd. privatizzazione del pubblico impiego, espressione con la quale si designa:
— l’estensione delle norme del diritto privato al rapporto di pubblico impiego, spostando la relativa disciplina dall’ ambito amministrativo a quello privatistico; — la diretta applicabilità della disciplina della contrattazione collettiva;
— l’ attribuzione al datore di lavoro pubblico degli stessi poteri di gestione del rapporto propri del datore di lavoro privato. A meno di un anno dall’emanazione della normativa di riforma l’originario assetto normativo è stato rivisitato in profondità in forza di significativi interventi della Consulta e del legislatore delegato.
La prima, con sentenza 30 luglio 1993, n. 359, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina in tema di contrattazione collettiva e di mobilità, nella parte in cui non garantiva sufficienti spazi di autonomia deliberativa e di partecipazione consultiva alle amministrazioni regionali.
Il secondo, usufruendo del carattere annuale della delega, ha in buona misura stravolto l’originario assetto normativo, recependo, con il D.Lgs. 19 luglio 1993, n. 247, il D.Lgs. 18 novembre 1993, n. 470 e il D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, i suggerimenti rivolti dalla stessa Corte costituzionale oltre che dall’ elaborazione dottrinale. Il legislatore è poi successivamente intervenuto in materia, con interventi settoriali che hanno introdotto modifiche parziali ad alcuni istituti del pubblico impiego (si pensi, per fare solo qualche esempio, alla L. 11 luglio 1995, n. 273, che ha modificato ed integrato la disciplina degli uffici per le relazioni con il pubblico e dei servizi di controllo interno, e alla L. 19 dicembre 1994, n. 724, in tema di permessi, congedi ed aspettative).
Il processo di riforma intrapreso con il D.Lgs. 29/1993 ha poi subito un’importantissima accelerazione nel momento in cui, tra la fine del 1994 e i primi mesi del 1995, sono stati siglati i primi contratti collettivi, destinati a rappresentare il momento del definitivo passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina del lavoro nella P.A.
Entro il 1997 si è completata la prima stagione della contrattazione collettiva, sia relativamente alla parte economica che a quella normativa.
- B) La contrattualizzazione del pubblico impiego Il processo di ravvicinamento del pubblico impiego al rapporto di lavoro privato ha trovato, dunque, la sua massima espressione e realizzazione nella nuova disciplina della contrattazione collettiva, introdotta ad opera del D.Lgs. 29/1993 e sue successive modifiche. La nuova normativa ha abolito la complessa procedura (ex L. 93/1983) che subordinava l’acquisto di efficacia del contratto collettivo al recepimento dello stesso in un atto a carattere normativo (D.P.R.), facendo assurgere, analogamente a quanto avviene nel settore privato, la contrattazione collettiva al ruolo di fonte primaria e diretta di disciplina del rapporto di pubblico impiego.
L’ art. 40 del D.Lgs. 165/2001 (originariamente art. 45 D.Lgs. 29/93) stabilisce, infatti, che la contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie attinenti il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si sviluppa su due livelli:
- contratti nazionali collettivi di comparto,
- contratti integrativi.
In sostituzione del cd. livello intercornpartimentale sono previsti, per la disciplina di materie comuni a più comparti, i cd. contratti o accordi quadro, conseguentemente validi per tutti i lavoratori e per tutte le amministrazioni (es. sui permessi sindacali).
La contrattazione nazionale si fonda in via principale sui contratti collettivi di comparto, cioè settori omogenei o affini, determinati mediante appositi accordi tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione (ARAN) e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Tale fonte disciplina, alla stregua del settore privato, la durata dei contratti nazionali e di quelli integrativi, la struttura contrattuale ed i rapporti tra i diversi livelli. Le pubbliche amministrazioni stipulano contratti collettivi integrativi nel rispetto delle materie e dei limiti prefissati dai contratti nazionali di comparto, che, quindi, si pongono come fonte normativa di grado superiore. Sicché alla contrattazione in sede nazionale vengono riservate la scelta delle materie negoziabili in sede integrativa, nonché la definizione delle procedure negoziali e dei soggetti tra i quali si svolgerà la contrattazione integrativa, la quale, peraltro, potrà avere ambito territoriale e riguardare anche più amministrazioni. I contratti integrativi non possono contenere clausole in contrasto con vincoli risultanti dai contratti nazionali. La sanzione per l’eventuale difformità è costituita dalla nullità delle clausole in questione. Infine, va osservato che alla contrattazione collettiva è riservata la competenza esclusiva in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti, alla cui determinazione antecedentemente concorrevano una pluralità di fonti, negoziali e legislative. Similmente a quanto avviene nel settore privato, le pubbliche amministrazioni devono garantire ai propri dipendenti i minimi tabellari previsti dai contratti collettivi, osservando il principio di parità di trattamento.
L’Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione (ARAN)
Una delle novità introdotte dalla riforma del pubblico impiego (art. 50 del D.Lgs. 29/1993, trasfuso nell’ art. 46 del D.Lgs. 165/2001) è la creazione dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione (ARAN). L’ Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, ha il compito di rappresentare le pubbliche amministrazioni in tutte le trattative sindacali a livello nazionale. Si tratta di un organismo dotato di personalità giuridica nonché di autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio (art. 50, D.Lgs. 29/93 e ora D.Lgs. 165/2001). La L. 4 marzo 2009, n. 15, di cui si dirà successivamente, nel più ampio contesto di riordino delle procedure di contrattazione collettiva ed integrativa, ha previsto (art. 3) anche una riorganizzazione delle competenze, della struttura e degli organi dell’ARAN; la delega di cui all’articolo 3 è stata attuata con l’articolo 58 del D.Lgs. 150/2009 (decreto di attuazione della riforma Brunetta).
Quest’ultimo, modificando l’articolo 46 del D.Lgs. 165/2001, ha apportato significative innovazioni sulle funzioni e sulla composizione di tale organismo; sempre in relazione all’ ARAN si segnala, inoltre, che il D.Lgs. 150/2009 ha anche sostituito l’articolo 41 del D.Lgs. 165/2001 relativo ai poteri di indirizzo nei confronti dell’ARAN.
I sindacati maggiormente rappresentativi
Nel processo di contrattualizzazione, interlocutori negoziali dal lato dei lavoratori sono, invece, i delegati delle associazioni sindacali dotate di maggiore rappresentatività. In questo caso però, a differenza che nel settore privato in cui la maggiore rappresentatività dei sindacati corrisponde ad un attributo delle tre confederazioni CGIL, CISL e UIL, non sottoposto a verifica, il legislatore della riforma (D.Lgs. 39611997) ha inteso provvedere ad introdurre dei criteri oggettivi di accertamento della rappresentatività sindacale.
Pertanto, ai fini dell’ammissione alle trattative negoziali per la stipulazione e/o il rinnovo dei contratti collettivi, le organizzazioni sindacali devono avere nel comparto considerato una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando la media tra il dato associativo e quello elettorale.
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LA SECONDA PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO
Il carattere incompiuto della riforma di cui al D.Lgs. 29/1993, evidenziato dal permanere di settori e materie non interessate dalla privatizzazione, e, al tempo stesso, lo stretto collegamento dell’ assetto del pubblico impiego con alcuni punti cruciali della complessiva ristrutturazione della pubblica amministrazione avviata dalle leggi Bassanini (L. 15 marzo 1997, n. 59 e L. 15 maggio 1997, n. 127), hanno indotto il legislatore del 1997 a prevedere significative novità ad integrazione e completamento della riforma del 1993, in definitiva consentendo una generalissima riapertura dei termini della delega già conferita con la L. 421/1992.
Vengono anche enunciati (art. 11, comma 4 della L. 59/1997) ulteriori principi e criteri direttivi ai quali deve uniformarsi l’opera del legislatore delegato. Essi sono:
- a) il completamento della privatizzazione attraverso l’estensione del diritto privato anche al rapporto di lavoro dei dirigenti generali;
- b) la creazione di un ruolo unico interministeriale della dirigenza presso la Presidenza del Consiglio; c) la semplificazione e il riordino della contrattazione collettiva;
- d) la fissazione al 30 giugno 1998 del passaggio al giudice ordinario del contenzioso del pubblico impiego;
- e) la previsione di procedure di consultazione delle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi prima dell’adozione degli atti interni di organizzazione con riflessi sul rapporto di lavoro;
- f) la creazione di un codice di comportamento dei dipendenti e l’adozione di codici da parte delle singole amministrazioni.
Sulla base delle direttrici enunciate dalla legge Bassanini n. 59 del 1997, il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha modificato le disposizioni fondamentali del D.Lgs. 29/1993, completandone la revisione già avviata dal D.Lgs. 4 novembre 1997, n. 396, emanato in esecuzione della stessa delega, che ha introdotto nuove norme in materia di rappresentatività sindacale e contrattazione collettiva.
L’articolato normativo in esame persegue in via prioritaria le seguenti finalità:
-separazione tra fonti pubblicistiche dell’organizzazione degli uffici e fonti privatistiche di regolazione del rapporto di lavoro;
— valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva ed esclusiva devoluzione ad essa della disciplina dei trattamenti retributivi;
— più marcata separazione tra indirizzo politico degli organi di governo e potere gestionale della dirigenza;
– riorganizzazione dell’assetto normativa della dirigenza statale, con conseguente contrattualizzazione del rapporto d’impiego dei dirigenti statali;
– riformulazione della disciplina della responsabilità dirigenziale; riformulazione dei principi attinenti all’organizzazione dei pubblici uffici e attribuzione di un’ampia autonomia di gestione ai dirigenti;
– riformulazione dei principi e delle regole relative al reclutamento del personale;
— estensione al pubblico impiego della legislazione privatistica in materia di forme d’impiego flessibili;
— applicazione, con opportuni adattamenti, delle disposizioni del codice civile e delle leggi speciali sull’ impresa in materia di mutamento di mansioni, mobilità collettiva, passaggio di dipendenti per trasferimento di attività;
— passaggio del contenzioso dal giudice amministrativo al giudice ordinario a partire dal 1° luglio 1998.
La L. 16 giugno 1998, n. 191 (cd. Bassanini ter) ha successivamente prolungato al 31 ottobre i termini della delega contenuta nell’art. 11, comma 4 L. 59/1997; il Governo, approfittando di tale differimento, ha varato un nuovo decreto legislativo correttivo del D.Lgs. 29/1993 e del D.Lgs. 80/1998, il D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387.
Il nuovo decreto delegato introduce in particolare novità in materia di:
— accesso alla dirigenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici economici;
— formazione dei nuovi dirigenti;
— durata degli incarichi dirigenziali;
— temporaneo servizio all’estero dei dipendenti pubblici;
— collocamento in disponibilità;
— nuovi requisiti per i pubblici concorsi;
— conciliazione.
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IL TESTO UNICO DEL PUBBLICO IMPIEGO (D.LGS. 165/2001)
A) Il riassetto della disciplina del pubblico impiego
La successione di provvedimenti che, con finalità diverse, sono intervenuti sostituendo, integrando o abrogando norme del testo originario del D.Lgs. 29/1993, ha reso ancor più necessaria un opera di coordinamento e di riassetto della disciplina del pubblico impiego, peraltro rispondente anche ad un più generale disegno di semplificazione delle normative vigenti affermatosi con le cd. leggi Bassanini.
A tal fine risponde il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», con cui si è data attuazione alla delega contenuta nella L. 24 novembre 2000, n. 340 che, all’ art. 1 co. 8, prevede per l’appunto la predisposizione di un testo unico per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati, «apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni».
Il D.Lgs. 165/2001 assolve, tuttavia, solo parzialmente allo scopo di un Testo Unico del pubblico impiego, poiché ha natura sostanzialmente compilativa, nulla innovando rispetto a quanto stabilito dal D.Lgs. 29/1993 e dalle successive modifiche e non tenendo in conto le altre disposizioni rinvenibili nell’ordinamento egualmente applicabili al personale pubblico contrattualizzato.
Il D.Lgs. 165/2001, quindi, offre esclusivamente un riassetto ed una migliore sistemazione delle originarie norme del D.Lgs. 29/1993, limitandosi ad inserire alcune norme di coordinamento testuale e sistematico, eliminare le lacune e le incongruenze che si erano verificate per il susseguirsi degli interventi di modifica e ad indicare le norme abrogate o non più efficaci.
B) Ambito di applicazione del D.Lgs. 165/2001
Il D.Lgs. 165/2001 si applica a tutte le pubbliche amministrazioni ovvero «le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie previste di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300» (art. 1, co. 2, D.Lgs. 165/ 2001, modificato dall’ art. 1, D.Lgs. 145/2002).
L’art. 3 del D.Lgs. 165/2001, riprendendo quanto già disposto dall’art. 2, commi 4 e 5 del D.Lgs. 29/1993), esclude alcune categorie di pubblici dipendenti dalla cd. privatizzazione. Le categorie in questione sono: magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
— avvocati e procuratori dello Stato;
— personale militare e delle forze di polizia; personale delle carriere diplomatica e prefettizia;
— dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dal D.Lgs.C.P.S. 691/47 (risparmio, funzioni creditizia e valutaria), e dalle leggi 281/1985 (tutela del risparmio, valori mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza e del mercato).
Sono, inoltre, regolamentati da specifica normativa il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (L. 252/2004); il personale della carriera dirigenziale penitenziaria (L. 154/2005); i professori e ricercatori universitari.
- LA RIFORMA BRUNETTA: L. 15/2009 E D.LGS. 150/2009
- A) La L. 15/2009 sulla produttività nel pubblico impiego Con L. 4 marzo 2009, n. 15 il Governo è stato delegato ad adottare (entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge), uno o più decreti legislativi volti a riformare, anche mediante modifiche al D.Lgs. 165/2001, la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (così come individuate dall’ art. 2, comma 2 dello stesso decreto n. 165) e della relativa contrattazione collettiva.
La stessa legge delega stabilisce che, entro il termine successivo di ventiquattro mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui sopra, il Governo può adottare eventuali disposizioni integrative e correttive, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi principi e criteri. Gli ambiti specifici su cui l’esecutivo è chiamato ad intervenire con il nuovo provvedimento sono: a) contrattazione collettiva e integrativa e funzionalità delle pubbliche amministrazioni (art. 3): l’esercizio della delega in tale ambito è formalizzato a conseguire una migliore
— certificazione dei contratti collettivi integrativi: le amministrazioni sono obbligate a trasmettere alla Corte dei conti specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno, per accertare il rispetto dei vincoli finanziari;
— eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali: in tale prospettiva di razionalizzazione, la citata normativa ha soppresso, tra gli altri, l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto alla corruzione e alle altre forma di illecito nella P.A.
Altre importanti previsioni contenute nel D.L. 112/2008, conv. in L. 133/2008, destinate ad incidere sullo svolgimento del rapporto di pubblico impiego hanno riguardato le assenze per malattie, i permessi retribuiti e la disciplina del lavoro flessibile.
- B) Il D.Lgs. 150/2009: contenuti e struttura
In attuazione degli articoli da 2 a 7 della L. 4 marzo 2009,11. 15, con il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (recante disposizioni in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni) è stata introdotta una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 2, comma 2 del D.Lgs. 165/2001. Il provvedimento interviene, in particolare in materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche, di valorizzazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e di responsabilità disciplinare.
— La struttura del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150
Il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 si struttura in cinque titoli ciascuno riguardante un aspetto specifico della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. In particolare:
- a) il titolo I (art. 1) è dedicato alla enunciazione degli obiettivi della riforma nel suo complesso (rispetto degli ambiti riservati alla legge e alla contrattazione collettiva, incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, contrasto alla scarsa produttività etc.);
- b) il titolo II (artt. 216) ha ad oggetto il sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti pubblici con lo scopo di assicurare elevati standard qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale;
- c) il titolo IIII (artt. 1731) contiene disposizioni recanti strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa informati a principi di selettività e concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi;
- d) il titolo IV (artt. 3273) contiene nuove norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e quindi modifiche che incidono direttamente sul testo del D.Lgs. 165/2001. Tale titolo, a sua volta, è suddiviso in cinque capi che si riferiscono ai principi generali (capo I), alla dirigenza pubblica (capo II), a uffici, piante organiche, mobilità e accessi (capo III), alla contrattazione collettiva nazionale e integrativa (capo IV) e alle sanzioni disciplinari e responsabilità dei pubblici dipendenti (capo V);
- e) il titolo V (art. 74) infine, che ha ad oggetto le norme transitorie e finali indica gli articoli del decreto che rientrano nella potestà legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, e quelli che, invece, costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali si adeguano le Regioni e gli enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza.
- L’ATTUAZIONE DELLA RIFORMA BRUNETTA NEGLI ENTI LOCALI
- A) L’art. 74 del D.Lgs. 150/2009 La norma che, all’interno del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, individua l’ambito di applicazione della riforma stessa è l’articolo 74. Secondo il disposto di cui al comma 1 dell’articolo 74 rientrano nella potestà legislativa esercitata dallo Stato, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione e gli articoli: 11 (commi 1 e 3), da 28 a 30, da 33 a 36, 54, 57, 61, 62 (comma 1), 64, 65, 66, 68, 69 e 73 (commi 1 e 3).
In generale, tali norme si riferiscono ai seguenti ambiti:
– obbligo della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni; – qualità dei servizi; – atti di organizzazione dell’ ente in relazione alla gestione delle risorse umane;
– disciplina della contrattazione collettiva;
– disciplina delle mansioni con riferimento all’ abbandono delle progressioni verticali;
– responsabilità, sanzioni e procedure disciplinari. L’articolo 74 al comma 2, invece, indica quali sono le disposizioni che, costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali Regioni ed Enti locali devono adeguarsi, negli ambiti di rispettiva competenza; in tale contesto rientrano gli articoli 3, 4, 5 (comma 2), 7, 9, 15 (comma 1), 17 (comma 2), 18, 23 (commi 1 e 2), 24 (commi 1 e 2), 25, 26, 27 (comma 1) e 62 (commi ibis e iter).
Tali disposizioni recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 Cost. che al comma 1 recita: «I pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Le disposizioni specifiche circa termini e modalità per adeguamento degli enti territoriali sono contenute negli articoli 16 e 31 del D.Lgs. n. 150 a norma dei quali l’adeguamento deve avvenire entro il 31 dicembre 2010, nelle more di ciò si applicano le disposizioni vigenti; decorso il 31 dicembre 2010, si applicano le disposizioni previste nei titoli secondo e terzo dello stesso decreto n. 150 sino all’emanazione della disciplina regionale e locale.
Gli strumenti di verifica dell’efficienza della gestione: la trasparenza L’articolo 16 del D.Lgs. 150/2009 stabilisce che nelle Regioni e negli Enti locali trovano diretta applicazione le disposizioni dell’articolo 11, commi 1 e 3 relativi alla trasparenza.
Così come stabilisce il comma 1 del citato articolo 11 la trasparenza è intesa come accessibilità totale (anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche) delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità.
La trasparenza costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.