Mansioni e Progressione di Carriera e Differenze Retributive
Partiamo innanzitutto dal presupposto che il prestatore di lavoro – dipendente pubblico – deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito, attraverso procedure selettive e conformi alle leggi.
Pertanto qualora il pubblico impiegato non abbia assunto una qualifica superiore non potrà essere oggetto di pretese di mansioni superiori.
Infatti l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.
Quando i Dipendenti Pubblici possono essere adibiti a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore?
Quando nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti;
Oppure nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
Ricordiamo che si considera svolgimento di mansioni superiori soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
Nei casi in cui il prestatore di lavoro venga adibito a mansioni proprie di qualifica superiore, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per tale qualifica.
Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
Al di fuori delle ipotesi predette, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore.

Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. Riguardo alle questioni derivanti dallo svolgimento di “fatto” di mansioni superiori di livello dirigenziale al di fuori dei casi consentiti dalla legge, ovvero senza che vi sia stato un formale atto di nomina, la Cassazione ha stabilito che:
a) l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.
Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione senza sbarramenti temporali di alcun genere pure nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in relazione all’attività spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette mansioni superiori (così Cassazione, S.U., 11 dicembre 2007, n. 25837);
b) le specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e le relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico non escludono di per sé l’applicazione della disciplina inerente lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, anche di livello dirigenziale, da parte di un funzionario.
Ne deriva, il diritto al riconoscimento del corrispondente trattamento economico, ai sensi dell’art. 52, comma 5, D.Lgs. 165/2001. Tuttavia, il presupposto per l’attribuzione di tale diritto è, peraltro, determinato dall’effettivo svolgimento di mansioni superiori con riferimento al criterio della prevalenza, valutato sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale.
Tali circostanze devono essere pienamente provate dal ricorrente, avendo riguardo alle effettive attività svolte e responsabilità attribuite al medesimo (così Cassazione, sez. lav., 27 aprile 2007, n. 10027).
Diverso orientamento accomuna Tar e Consiglio di Stato, i quali negano l’applicabilità dell’art. 36 Cost. sulla “giusta retribuzione” al pubblico impiego, dato che, per tale ambito, sono prevalenti le disposizioni di cui agli artt. 97 e 98 Cost.
Tale posizione interpretativa pone il rapporto organico in una posizione privilegiata rispetto al rapporto di servizio, confermando la supremazia della qualifica formale su quella sostanziale, relativa alle mansioni espletate e ritengono che il rapporto pubblico non possa essere assimilato in alcun modo ad un rapporto di scambio dovendosi rispettare, anche ai fini del controllo di spesa, l’esigenza di conservare un assetto della P.A. rigido a trasparente, per cui in quest’ottica non si può applicare né 1′ art. 36 Cost, né l’art. 2126 c.c. (Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1073; Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6466; Cons. St., sez. V, 12 ottobre n. 1438; Cons. St., sez. VI, 29 settembre 1999, n. 1291).
Dal canto suo la Corte costituzionale sostiene la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati all’art. 36 Cost. e specifica che, detta nonna: “determini l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato” a prescindere alla eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a mansioni superiori (Corte cost. 23 febbraio 1989, n. 57; Corte cost. ord. 26 luglio 1988, n. 908); e che “il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost.” (Corte cost. 27 maggio 1992, n. 236).
La riforma Brunetta (L. 15/2009) non ha affrontato le questioni afferenti l’accesso al pubblico impiego né quelle relative alle carriere.
Invero il rapporto fra accesso dall’ esterno e progressione in carriera è affrontato da tre disposizioni, contenute nelle lett. d) ed del secondo comma dell’art. 5 della legge delega.
Le progressioni meramente economiche devono essere ispirate ai principi di selettività ed, a tal fine, rappresenta titolo la valutazione conseguita dal dipendente negli anni precedenti.
Le progressioni di carriera, cui corrispondono non solo differenze retributive, ma anche differenti mansioni, sono fruibili per più della metà delle vacanze in organico.
Inoltre, viene prefigurato un meccanismo di accesso diretto dall’esterno per le posizioni economiche apicali delle varie aree funzionali, anche attraverso la Scuola Superiore della P.A.