MOBBING RELAZIONALE TRA DIPENDENTI PUBBLICI
Il mobbing è dato dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro, dalle fusioni, ristrutturazioni degli enti pubblici, che favoriscono condotte datoriali finalizzate al martirio del dipendente pubblico.
Gli studiosi ritengono che piu si va avanti e più la distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro viene ad affievolirsi.
Infatti spesso il lavoro si trasferisce nella casa del lavoratore (ma non perchè sia telelavoro), entra nel suo corpo, nella sua quotidianità’ e quindi parliamo di MOBBING allo stato puro, che si realizza nel momento in cui il lavoro entra nel corpo stesso del pubblico dipendente.
Ciò contribuisce allo sviluppo del c.d. mobbing sistemico.
E, proprio nelle amministrazioni pubbliche, è riscontrabile una tendenza di parte datoriale (nelle persone dei dirigente o funzionari apicali, segretario comunale, direttori generali) ad esercitare pressioni volte ad uniformare anche i comportamenti più banali dei dipendenti, a discriminare in base a clientelismi politico/burocratici, i lavoratori dipendenti (che quindi devono lavorare per un sistema di cui sicuramente non vogliono far parte), a condizionare e a volte a manipolare la prestazione dei lavoratori medesimi, imponendo obblighi virtuosi ovvero svalorizzando, nonostante è stato richiesto un eccesso di lavoro.
Il paradosso consiste nel fatto che gli esecutori di decisioni mobbizzate, cioè i dipendenti pubblici, hanno nulla a che vedere con il legittimo diritto di esigere la collaborazione richiesta per la realizzazione dell’obiettivo posto dalla struttura.
Ad illuminare ulteriormente la riflessione che sto svolgendo vi è il contributo della letteratura psichiatrica, che denuncia il carattere pervasivo della violenza psicologica in tutti gli ambiti istituzionali, compresi gli ambienti di lavoro.
Molto calzante è l’osservazione secondo cui i luoghi di lavoro, oggi, diventano luogo primario di questo tipo di violenza, ritualizzando la violenza come legittima, forzando l’accettazione di regole e convenzioni, divieti e punizioni: questo tipo di violenza si camuffa sotto il profilo del doverismo, della rigidità verticistica, fa leva sulla paura, sulla debolezza, sull’ignoranza e sul non informare e quindi impedisce la libertà di scelta, e di decisione consapevole reificando costantemente la dipendenza, la sottomissione e la non differenza, e distrugge la possibilità di identità e di individualità e la capacità di relazione.
Stando a tale ricostruzione, il mobbing praticato nella pubblica amministrazione parrebbe doversi ascrivere alla categoria del mobbing relazionale, nel quale il metodo del divide et impera diventa governo abituale adatto ad aizzare le persone le une contro le altre attraverso il rifiuto, il travisamento della comunicazione diretta o l’invio di messaggi a duplice lettura, il tutto finalizzato allo scopo di destabilizzare, squalificare, o, più spesso, emarginare il lavoratore.
A conferma di ciò, la dottrina giuridica, ORMAI DIVENTATA REALTA’, rileva che il ricorso a tecniche e strategie di mobbing può essere determinato, in alcuni contesti lavorativi, come proprio avviene nel pubblico impiego, non da finalità espulsive ma, tutt’altro. Non si parla di più di esclusione del mobbizzato, anzi lo si vuole onnipresente anche.
E’ proprio il caso dell’impiego pubblico, dove chi non riesce a fare dirigente o il responsabile apicale, pone in essere una serie di comportamenti atti ad annullare lo spirito critico dei dipendenti, lasciandoli al loro posto di lavoro a condizione che si assoggettino ad ogni direttiva o richiesta (ancorché illegittima, discriminatoria o vessatoria ) proveniente dai vertici burocratici.
Si assiste quindi ad una proliferazione del mobbing nelle pubbliche amministrazioni.
Al riguardo, non può escludersi che le implicazioni erariali conseguenti alla breccia aperta dalla sentenza resa dal Tribunale di Tempio Pausania il 10 luglio 2003 ( causa Fideli c. Comune di Loiri Porto San Paolo ) la prima a condannare una P.A. al risarcimento di danni da bossing possano essere state di stimolo per lelaborazione della direttiva. Nel caso in questione, al consueto strumentario vessatorio (demansionamento, abuso del potere disciplinare, isolamento della dipendente, rifiuto di fornire chiarimenti alle sue legittime richieste), si aggiungevano la discriminazione economica ( attraverso la mancata concessione di ore di straordinario normalmente riconosciute al restante personale ) ed il rimprovero della dipendente, contenuto in atti formali, per il suo modo di essere. In realtà, la sentenza del giudice sardo ha posto in evidenza un dato sovente sottolineato dalla letteratura non giuridica in materia di mobbing, ovvero che vittime dello stesso sono frequentemente dei lavoratori-modello, ligi al dovere, di notevole tempra morale, con forte senso di appartenenza alla struttura presso cui lavorano.