FALLIMENTO ED IMPRESA MONOPOLISTA

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La Società «Beta S.p.A.» (nome di fantasia per tutelare la privacy) viene dichiarata fallita in data 25 novembre 2000.

Successivamente, il curatore del predetto fallimento, cita in giudizio la Società «Alfa S.p.A.» — erogatrice del servizio di energia elettrica in regime di monopolio legale — deducendo che la società «Beta S.p.A.» le aveva esborsato, in data 11 giugno 2018, un’ingente somma di denaro a titolo di pagamento di fornitura del servizio di energia elettrica da essa reso.

Il curatore ne chiede altresì la condanna alla restituzione della predetta somma, incassata a titolo di corrispettivo di fornitura di energia elettrica, previa revoca dei pagamenti ricevuti dalla Società «Alfa S.p.A.», nella piena consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore Società «Beta S.p.A.»,poi fallita.

La fattispecie in esame richiede un’analisi preliminare del regime del monopolio legale (art. 2597 c.c.). Il monopolio, in generale, è una forma di mercato nella quale, a differenza di quanto avviene nella concorrenza, un solo operatore economico (venditore) offre un bene alla collettività. L’impresa che opera in tali condizioni domina quindi il mercato in relazione al bene che produce. Il monopolio legale, in particolare, si realizza allorquando la produzione di determinati beni o servizi è attuata dallo Stato o da altro ente pubblico, od ancora, da un imprenditore privato per effetto di una concessione amministrativa.

In ogni caso, si tratta di una fattispecie in cui è la legge che riserva ad un solo imprenditore la produzione ed il commercio di quel determinato bene o servizio. Secondo l’art. 2597 c.c. «chi esercita un’impresa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque chieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando parità di trattamento».

Tale norma introduce una deroga al principio dell’autonomia negoziale ed alle connesse libertà di contrattare e determinare liberamente le condizioni di contratto, nonché a quella di scegliere l’altro contraente, concordando le clausole contrattuali alle quali si intende subordinare la costituzione del rapporto (art. 1322 c.c.).

La ratio della compressione della cd. libertà di scelta del contraente è rappresentata dalla posizione di esclusiva accordata al monopolista ed alla natura dei beni o servizi dallo stesso offerti, la cui inerenza ai bisogni di vita essenziali o comunque prioritari, legittima e spiega allo stesso tempo l’opzione del legislatore per il regime di privativa: senza quella delimitazione si potrebbero determinare abusi o discriminazioni in danno del consumatore.

La dottrina e la giurisprudenza dominanti sono concordi nel ritenere che, coordinandosi il tenore letterale dell’art. 2597 c.c., caratterizzato dalla fissazione dell’obbligo di contrattare con formula assolutamente perentoria e senza l’apposizione di condizione alcuna con le suesposte ragioni dell’eccezione al principio generale dell’autonomia negoziale, ne scaturisce con assoluta chiarezza che l’obbligo di contrattare sussiste per il monopolista legale indipendentemente dalla situazione economica del richiedente e, quindi, anche quando il suo stato patrimoniale renda incerto il buon esito del rapporto.

Del resto — come si è giustamente evidenziato — l’esclusione dell’obbligo in questione, solo perché vi sia allo stato probabilità di insolvenza dell’altra parte, non si armonizzerebbe con la sua attinenza alla nascita di un contratto che normalmente non determina immediati e contestuali trasferimenti di beni od erogazioni di servizi, ma contempla prestazioni e controprestazioni da effettuarsi in momenti successivi.

Inoltre, della fase di esecuzione del contratto, dopo la sua conclusione «obbligatoria» secondo le condizioni praticate dal monopolista alla generalità degli utenti, non si occupa né il citato art. 2597 c.c., né altra disposizione del codice civile. Pertanto, si afferma unanimemente che per i rapporti di natura privatistica (nel quale rientra anche quello del caso in esame avente ad oggetto l’erogazione di energia elettrica), salva eventuale previsione contraria da parte della legge speciale che introduce e disciplina il monopolio (o da parte dei provvedimenti di concessione che ne diano attuazione), la fase funzionale del rapporto rimane regolata dalle norme generali sui contratti a prestazioni corrispettive, anche con riguardo alla protezione del contraente adempiente o comunque pronto all’adempimento, allorquando tali norme non risultino incompatibili con l’obbligo del monopolista di aderire alla richiesta di stipulazione a prescindere dalle condizioni economiche del richiedente.

Alla luce delle premesse sinora illustrate, a questo punto della trattazione della questione in esame, viene in rilievo il problema cruciale vertente sulla possibilità o meno per il monopolista legale di avvalersi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1461 c.c., consistente nella facoltà di interrompere la propria prestazione in seguito ad un peggioramento delle condizioni economiche dell’altro contraente, tale da mettere in serio pericolo il conseguimento della controprestazione.

Dalla soluzione di questo primo importante problema dipende, poi, la risposta all’ulteriore quesito relativo alla revocabilità — ai sensi e per gli effetti dell’art. 67 del R.D. 1631942, n. 267 (cd. Legge fallimentare) — dei pagamenti effettuati al monopolista legale. Sul punto, la giurisprudenza della Cassazione ha assunto atteggiamenti oscillanti: in un primo momento, infatti, si è ritenuto che l’obbligo di contrattare ex art. 2597 c.c., gravando sull’imprenditore che ceda beni o presti servizi in regime di monopolio legale indipendentemente dalle condizioni economiche del richiedente, rendesse rilevanti tali condizioni, poi, anche nella fase funzionale del rapporto, traducendosi, dunque, anche nell’ambito di contratti a carattere continuativo o periodico, nella «impossibilità per il monopolista di sospendere la propria prestazione nonostante il dissesto dell’altro contraente, con conseguente perdita della facoltà prevista dall’art. 1461 c.c.».

La tesi viene motivata con la circostanza che «l’esercizio della facoltà ex art. 1461 c.c. non sarebbe logicamente conciliabile con la doverosità della costituzione del vincolo negoziale., che verrebbe elusa se l’esecuzione degli impegni assunti fosse subito dopo paralizzatile per ragioni attinenti alla solvibilità dell’acquirente od utente» (Cass. Sez.Un. 11111998, n. 11350). Da ciò consegue e si desume chiaramente l’incompatibilità dell’art. 2597 c.c. con la revocatoria dei pagamenti ricevuti dal monopolista nel corso dell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento del solvens (con la contezza del suo stato di insolvenza): infatti, la revocatoria trova la sua ragion d’essere nella libera accettazione da parte del creditore del rischio connesso alla situazione patrimoniale del debitore, e «…non può colpire il monopolista, il quale non è in grado di evitare — sospendendo la propria prestazione — la maturazione dei corrispondenti debiti ed il loro adempimento…».

Trattasi, in definitiva, di un’eccezione all’applicabilità dell’art. 67, comma secondo, della Legge Fallimentare.

Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione, in tempi più recenti, spinta anche dalle diffuse critiche mosse dalla prevalente dottrina al suesposto orientamento, ha riconsiderato la propria posizione, approdando alla soluzione opposta: ritenendo che il monopolista legale possa avvalersi del rimedio di cui all’art. 1461 c.c., ha deciso conseguentemente che lo stesso non possa non subire la revocatoria dei pagamenti a lui effettuati dall’imprenditore in stato di insolvenza. Per ricostruire l’iter logicogiuridico seguito dalla Cassazione, si ritiene utile partire dall’esame della norma in terna di monopolio legale, richiamando le suesposte considerazioni in ordine alla ratio della disposizione che è quella di evitare che l’unico soggetto in grado di vendere un determinato bene merceologico, peraltro per meriti non propri, trattandosi di monopolio imposto dalla legge, approfitti della situazione per imporre condizioni contrattuali favorevoli solo a lui, sfruttando inoltre il fatto che lo stesso normalmente vende beni o servizi (come l’energia elettrica), di cui i consumatori non possono facilmente fare a meno.

 

L’art. 2597 c.c. si propone poi di evitare possibili discriminazioni da parte del monopolista: ad esempio quest’ultimo potrebbe avere interesse a non vendere i propri beni ad un potenziale futuro concorrente. Nulla però potrà impedire al monopolista di sacrificare il singolo utente quando tale decisione non sia il frutto di un arbitrio estemporaneo, ma sia giustificata da un più ampio disegno organizzativo diretto a rendere funzionale, anche nell’interesse dei consumatori, il servizio complessivo. In particolare, il monopolista legale, proprio perché ha la responsabilità di assicurare a tutti il servizio (in quanto il consumatore non ha altre valide alternative), deve ispirare la sua azione a criteri di economicità e pertanto potrà anche, in applicazione del principio di parità di trattamento e purché si tratti di criteri predeterminati ed oggettivi, trattare in maniera adeguatamente diseguale situazioni diseguali. Pertanto, a meno che delle leggi o dei regolamenti non preve. dano diversamente, il monopolista potrà ben praticare prezzi diversi ai clienti in relazione ai quali la fornitura del servizio risulti più costosa. Per quanto concerne, in particolare, l’eccezione di inadempimento, essa risulta disciplinata dagli artt. 1460, 1461 e 1565 c.c. L’art. 1460 c.c. è una norma collocata nella parte generale dei contratti e stabilisce che «nei contratti con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere le sue obbligazioni, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria…». L’art. 1461 c.c. prevede invece che «ciascuno dei contraenti può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da mettere in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione

La prima norma, rispetto alla seconda, prescinde da un mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altra parte e presuppone invece che quest’ultima non adempia oppure che l’inadempimento sia certo od altamente probabile. La seconda norma, invece, consente di interrompere la propria prestazione pur in assenza di un inadempimento altrui attuale, per il solo fatto che il mutamento della situazione patrimoniale dell’altro contraente si sia deteriorata in maniera seria ed irreversibile, e divenga tale da porre in evidente pericolo il conseguimento della prestazione cui ha diritto il contraente in bonis.

L’art. 1565 c.c., dettato in materia di somministrazione, prevede che «se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l’inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso».

L’art. 1565 c.c. attribuisce pertanto al somministrante la facoltà di sospendere la somministrazione in caso di inadempimento di scarsa entità da parte del somministrato, previo congruo preavviso.

Per comprendere pienamente il significato di quest’ultima norma, è utile accostarla a quella dell’art. 1460 c.c. L‘exceptio non rite adimpleti contractus (art. 1565 c.c.) si differenzia dall’exceptio non adimpleti contractus (art 1460 c.c.) in quanto mentre quest’ultima presuppone genericamente un inadempimento, e la prova di esso grava su chi subisce la sospensione, la prima invece si fonda su di un inesatto adempimento, la cui prova è a carico di chi sospende la prestazione (si presuppone infatti che sia fuori discussione che l’adempimento, sia pure inesatto, vi sia stato, perché altrimenti si potrebbe far valere più semplicemente il rimedio generale di cui all’art. 1460 c.c.). L’art. 1565 c.c. è norma speciale rispetto all’art. 1460 c.c., ma al contempo non esclude l’applicabilità di quest’ultima nel caso di contratto di somministrazione, disciplinando solo un’ipotesi specifica di inadempimento, quello di lieve entità, restando per le altre ipotesi applicabile anche per la somministrazione la norma di carattere generale di cui all’art. 1460 c.c.

La dottrina prevalente  ritiene che l’art. 1565 c.c. allarghi la sfera di azione dell’art. 1460 c.c. a favore del somministrante, concedendogli la possibilità, che sarebbe invece negata dall’art. 1460 c.c., di sospendere la sua prestazione, dando un congruo preavviso, in caso di inadempimento di lieve entità. Deve invece ritenersi che l’art. 1565 c.c. sia una norma favorevole al somministrato, in quanto impone al somministrante, in caso di inadempimento di lieve entità, l’obbligo di concedere, prima della sospensione della somministrazione, un congruo preavviso, che non sarebbe necessario se non esistesse l’art. 1565.

Infatti, l’art. 1460 non specifica di quale entità debba essere l’inadempimento per permettere la sospensione, e pertanto si può ritenere che vi si possa legittimamente far ricorso anche in caso di inadempimenti di scarsa importanza (salvo il limite della buona fede). Pertanto il secondo comma dell’art. 1460 si può ragionevolmente interpretare nel senso che nel caso di inadempimento di scarsa importanza sia possibile sospendere l’esecuzione della propria prestazione senza preavviso, purché vi sia equivalenza tra l’entità dell’inadempimento ed il valore della prestazione rifiutata, e la sospensione non sia contraria a buona fede.

È dunque evidente l’omogeneità di ratio tra gli artt. 1460, 1461 e 1565 c.c., poiché tutti consentono la sospensione della prestazione nel caso in cui l’adempimento dell’altro non si realizzi o. sia messo in serio pericolo, e conseguentemente l’irrazionalità di una soluzione che permetta al monopolista legale di utilizzare solo alcune di queste norme (in particolare gli artt. 1460 e 1565 c.c.). Tale digressione sulle predette norme si rivela necessaria al fine di comprendere la tesi della Suprema Corte di Cassazione allorquando quest’ultima consente al monopolista legale di fare ricorso anche all’art. 1461 c.c., trattandosi di previsione compatibile con l’obbligo, posto dall’art. 2597 c.c., di contrattare e di osservare parità di trattamento.


La Cassazione, ritenendo che l’obbligo a contrarre del monopolista legale inerisca esclusivamente al momento genetico del rapporto e non anche a quello funzionale, ha deciso, come detto, che il monopolista legale ha a disposizione il rimedio dell’art. 1461 c.c. e conseguentemente non possa beneficiare di eccezioni alla regola posta dall’art. 67 L.F.

Secondo l’art. 67 del R.D. 1631942, n. 267 (cd. legge fallimentare), sono revocati, se il creditore era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, gli atti di pagamento effettuati da quest’ultimo a ridosso del proprio fallimento. La ratio di quest’ultima norma sta nell’esigenza di tutela della «par condicio creditorum», chiave di volta dell’intera disciplina della procedura fallimentare: si vuole infatti evitare che quando lo stato di insolvenza sia ormai percepibile ai creditori, qualcuno di essi si avvantaggi a danno degli altri, ricevendo in pagamento l’intero credito, alterando di conseguenza la parità di trattamento. Con l’azione revocatoria fallimentare il legislatore si è pertanto sforzato di contemperare l’interesse dei creditori a recuperare al patrimonio del fallito la maggior quantità di beni possibile, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività economica ed alla stabilità dei diritti. Il concetto di stato di insolvenza consistente, secondo l’art. 5 della L.F., nell’incapacità per un imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, può essere assimilato alle condizioni patrimoniali tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della prestazione di cui all’art. 1461 c.c.

Infatti in entrambi i casi non si esclude con certezza l’ipotesi che il debitore possa tenere fede ai propri obblighi, ma l’inadempimento si presenta come altamente probabile. Per altro verso l’eccezione di inadempimento attribuisce la facoltà di non pagare la controparte in presenza di determinati presupposti, mentre l’art. 67 della legge fallimentare sanziona con la revocatoria la condotta consistente nel ricevere alcune tipologie di pagamento.

L’eccezione di inadempimento, però, sospendendo il contratto, consente al contraente che se ne avvale non solo di non dar seguito alla prestazione da lui dovuta, ma anche di rifiutare legittimamente la prestazione della controparte in difficoltà economica, evitando dunque il rischio di essere successivamente coinvolto in un’azione revocatoria. L’ultimo comma dell’art. 67 L.F. prevede, nel caso in cui i pagamenti siano stati effettuati ad alcuni soggetti (fra i quali non vi è compreso il monopolista legale), alcune eccezioni alla regola della revocatoria, e riserva alla legge l’individuazione di eventuali altre.

Si ritiene che tali previsioni abbiano carattere eccezionale, costituendo deroga al principio generale della par condicio, e pertanto non siano suscettibili di applicazioni in via analogica.

Sulla questione in esame, la Suprema Corte di Cassazione, in un primo momento, riteneva — come già ampiamente esposto — che il monopolista legale fosse esentato dalla revocatoria, in considerazione della sua condizione che lo obbligava a contrarre con chiunque. In particolare, seguivano tale orientamento.

L’art. 67, nel prevedere l’esperibilità dell’azione revocatoria per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, presuppone che il creditore soddisfatto abbia avuto la possibilità, conoscendo l’insolvenza del debitore, di sospendere o rifiutare la propria prestazione; ne consegue che, nella ipotesi di contratti di somministrazione in regime di monopolio, poiché ai sensi dell’art. 2597 c.c., l’obbligo del monopolista di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa riguarda non solo la fase genetica ma anche quella funzionale del rapporto (dovendosi ritenere che il legalmonopolista non può rifiutarsi non solo di concludere il contratto, ma anche di eseguire la prestazione, senza che abbiano alcun rilievo le condizioni personali o patrimoniali dell’utente al momento del contratto o durante la sua esecuzione), i pagamenti effettuati dal somministrato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non sono soggetti alla revocatoria di cui all’art. 67 L.F., attesa l’impossibilità, per il creditore soddisfatto, di avvalersi della previsione di cui all’art. 1461 cod. civ. (Cass. Sez. Un., 11111998, n. 11350).

  • Ai fini dell’esercitabilità dell’azione revocatoria fallimentare di cui al secondo comma dell’art. 67 della legge fallimentare, la quale presuppone che il creditore soddisfatto abbia avuto la possibilità, conoscendo l’insolvenza del debitore, di sospendere o rifiutare l’esecuzione della propria prestazione, non è possibile accostare la situazione del venditore nella vendita con riserva di proprietà nei cui confronti venga esercitata la revocatoria relativamente alle rate di prezzo della vendita — a quella del legalmonopolista, sia perché il sorgere del rapporto di vendita con riserva di proprietà è frutto di libera scelta e non di un obbligo legale a contrarre, sia perché la difficoltà di ipotizzare l’applicazione dell’art. 1461 c.c. a detto tipo di vendita si ricollega alla particolare struttura di tale contratto (nel quale la consegna avviene all’atto della conclusione restando così possibile la sospensione dell’adempimento della propria prestazione da parte del venditore, nella ricorrenza di una situazione riconducibile all’art. 1461 c.c., solo prima della consegna), sia perché il venditore, di fronte al verificarsi di mutate condizioni dell’acquirente ed in particolare di fronte al rischio che i pagamenti del medesimo siano oggetto di possibili revoche a seguito di esercizio della revocatoria fallimentare od ordinaria, dispone di mezzi di tutela, rappresentati o dal rifiuto della prestazione che, in presenza di detto rischio, ben può ritenersi assistito da motivo legittimo ai sensi dell’art. 1206 c.c., con conseguente esclusione di mora accipiendi a suo carico (senza che in contrario si possa addurre l’operatività dell’art. 1358 c.c.) o della possibilità di esercitare l’azione di risoluzione per inadempimento nel caso in cui ricorrano le condizioni di cui all’art. 1525 c.c. (Cass. 6111999, n. 12358).

 

  • L’eccezione di inadempimento, di cui all’art. 1460 c.c., la quale, in via generale, presuppone che le reciproche prestazioni siano contemporaneamente dovute, è opponibile anche alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, a fronte di un evidente pericolo di perdere la controprestazione, avendo essa già dimostrato di non essere in grado di provvedere ai propri obblighi (Cass. 961999, n. 6441).
  • Nell’ipotesi di contratti di somministrazione in regime di monopolio, il legaimonopolista non può rifiutare né la conclusione del contratto né, attenendo l’obbligo a contrarre anche alla fase funzionale del rapporto, l’esecuzione della prestazione, né quest’ultima può essere negata o sospesa nell’ipotesi di cui all’art. 1461 c.c.; in tali casi, essendo preclusa l’autotutela, il legalmonopolista non può rifiutare la controprestazione dell’utente ed il pagamento non è soggetto a revocatoria fallimentare; diversamente, nei casi in cui i pagamenti sono stati ricevuti in una situazione che avrebbe consentito al creditore, in virtù del carattere sinallagmatico del rapporto, di scegliere se proseguire nel medesimo, tollerando una grave morosità del debitore, o avvalersi dell’eccezione di inadempimento e risolvere il rapporto ai sensi degli artt. 1460 e 1465 c.c., essendo consentita l’autotutela al legalmonopolista, i pagamenti ricevuti sono revocabili ai sensi dell’art. 671. fall. I pagamenti effettuati a favore del monopolista legale nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento sono soggetti a revocatoria qualora il creditore si sia trovato nella condizione di potersi avvalere dell’art. 1460 c.c. per effetto dell’inadempimento del debitore (Cass. 16111999, n. 12669).
  • L’art. 67 1. fall., nel prevedere l’esperibilità dell’azione revocatoria per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, presuppone che il creditore soddisfatto abbia avuto la possibilità, conoscendo l’insolvenza del debitore, di sospendere o rifiutare la propria prestazione; ne consegue che, nella ipotesi di contratti di somministrazione in regime di monopolio, poiché l’obbligo del monopolista di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa riguarda non solo la fase genetica ma anche quella funzionale del rapporto, i pagamenti effettuati dal somministrato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non sono soggetti alla revocatoria di cui all’art. 67, attesa l’impossibilità, per il creditore soddisfatto, di avvalersi della previsione di cui all’art. 1461 c.c. In tal caso devesi, infatti, ritenere che il legalmonopolista non può rifiutarsi non solo di concludere il contratto, ma anche di eseguire la prestazione, senza che abbiano alcun rilievo le condizioni personali o patrimoniali dell’utente al momento della conclusione del contratto o durante la sua esecuzione (Cass. 29112000, n. 15293).

Tuttavia, la Cassazione più recente ha espresso parere opposto:  In favore dell’imprenditore che somministri beni o presti servizi in regime di monopolio legale, trovano applicazione, in assenza di espressa deroga, non solo l’art. 1460 c.c., sull’eccezione di inadempimento, ma anche l’art. 1461 c.c., sulla facoltà di sospendere l’esecuzione della prestazione dovuta quando sussista un evidente pericolo di non ricevere il corrispettivo in ragione delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente, trattandosi di previsioni compatibili con l’obbligo, posto dall’art. 2597 c.c., di contrattare e di osservare parità di trattamento.

 

L’applicabilità dell’art. 1461 c.c., come delle altre disposizioni dettate a presidio della sinallagmaticità nella fase di esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive, comporta che il pagamento del debito liquido ed esigibile, ‘ricevuto dal monopolista nell’anno che precede la dichiarazione di fallimento del somministrato o dell’utente, con la consapevolezza del suo stato di insolvenza, resta soggetto alla revocatoria di cui all’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare; non trovandosi il monopolista in una situazione differenziata rispetto agli altri creditori, e difettando di conseguenza i presupposti per cogliere nell’art. 2597 c.c. un’implicita previsione di esenzione dalla revocatoria (Cass. Sez. Un., 2312004, n. 1232).

Punto sulla questione O Il monopolio legale si realizza allorquando la produzione di determinati beni o servizi è attuata dallo Stato o da altro ente pubblico, od ancora, da un imprenditore privato per effetto di una concessione amministrativa.

  • Secondo l’art. 2597 c.c. «chi esercita un’impresa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque chieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando parità di trattamento».
  • La dottrina e la giurisprudenza dominanti sono concordi nel ritenere che, coordinandosi il tenore letterale dell’art. 2597 c.c., caratterizzato dalla fissazione dell’obbligo di contrattare con formula assolutamente perentoria e senza l’apposizione di condizione alcuna e le suesposte ragioni dell’eccezione al principio generale dell’autonomia negoziale, ne scaturisce con assoluta chiarezza che l’obbligo di contrattare sussiste per il monopolista legale indipendentemente dalla situazione economica del richiedente e, quindi, anche quando il suo stato patrimoniale renda incerto il buon esito del rapporto.

Il problema cruciale verte sulla possibilità o meno per il monopolista legale di avvalersi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1461 c.c., consistente nella facoltà di interrompere la propria prestazione in seguito ad un peggioramento delle condizioni economiche dell’altro contraente, tale da mettere in serio pericolo il conseguimento della controprestazione. @ Dalla soluzione di questo primo importante problema dipende, poi, la risposta all’ulteriore quesito relativo alla revocabilità — ai sensi e per gli effetti dell’art. 67 del R.D. 1631942, n. 267 (cd. Legge Fallimentare) — dei pagamenti effettuati al monopolista legale: tale norma prevede che sono revocati, se il creditore era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, gli atti di pagamento effettuati da quest’ultimo a ridosso del proprio fallimento).

L’art. 1460 c.c. stabilisce che «nei contratti con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere le sue obbligazioni, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria…».

L’art. 1461 c.c. prevede che «ciascuno dei contraenti può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da mettere in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione…».

L’art. 1565 c.c., dettato in materia di somministrazione, prevede che «se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l’inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso».

É evidente l’omogeneità di ratio tra gli artt. 1460, 1461 e 1565 c.c., poiché tutti consentono la sospensione della prestazione nel caso in cui l’adempimento dell’altro non si realizzi o sia messo in serio pericolo, e conseguentemente l’irrazionalità di una soluzione che permetta al monopolista legale di utilizzare solo alcune di queste norme (in particolare gli artt. 1460 e 1565 c.c.).

La Cassazione, ritenendo che l’obbligo a contrarre del monopolista legale inerisca esclusivamente al momento genetico del rapporto e non anche a quello funzionale, ha deciso che il monopolista legale ha a disposizione il rimedio dell’art. 1461 c.c. e conseguentemente non possa beneficiare di eccezioni alla regola posta dall’art. 67 L.F.

 

Parere Giuridico dei Nostri Esperti

 

Se si inquadra la questione sottoposta ad esame alla luce degli orientamenti più recenti della giurisprudenza della Cassazione, si può senz’altro affermare che la pretesa avanzata dal curatore del fallimento della Società «Seta S.p.a.» è fondata.

È possibile, dunque, sostenere che la Società «Alfa S.p.a.», società fornitrice di energia elettrica in regime di monopolio legale, non è, in teoria, priva della possibilità di sospendere la prestazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1461 c.c., di fronte al pericolo di inadempimento dell’altro contraente, venendosi in tal modo a trovare in una posizione non deteriore, ma analoga a quella di un qualunque altro creditore che riceva pagamenti di debiti liquidi ed esigibili nell’anno anteriore al fallimento (con la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’obbligato), in modo da non aver titolo per beneficiare dell’esonero dall’azione revocatoria di cui all’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare.

Questa norma, infatti, nel prevedere che sono revocati, se il creditore era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, gli atti di pagamento effettuati da quest’ultimo nell’incombenza del proprio fallimento, si propone infatti proprio lo scopo di ripristinare lo status quo ante, restituendo ad ogni creditore chirografario la possibilità di concorrere con tutti gli altri chirografari sull’intero patrimonio del fallito, ricostruito appunto attraverso le revocatorie fallimentari.

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