Consulenza Giuridica richiesta sul Merchandising
Abbiamo ricevuto il seguente quesito dal nostro utente, il quale, <<titolare di un’azienda avente un marchio di abbigliamento di lusso>> avendo stipulato un contratto di merchandising con una ditta produttrice di penne stilografiche, attraverso un’indagine di mercato e verifiche effettuate dai propri dipendenti, veniva a conoscenza del fatto che la qualità delle penne stilografiche prodotte era scadente, motivo per cui si è rivolto a noi prima di procedere per le vie legali.
Per tutelare in via di urgenza i propri diritti è stata redatta la seguente consulenza.
La ricerca di una corretta soluzione per il quesito prospettato impone innanzitutto l’analisi del fenomeno giuridico del merchandising. Con la denominazione di merchandising si individua un ampio fenomeno giuridico caratterizzato dallo sfruttamento economico di segni distintivi di particolare notorietà, impiegati per rendere più appetibili sul mercato taluni prodotti. In particolare, il titolare di determinati properties conferisce alla controparte il diritto di utilizzarle per contraddistinguere prodotti o servizi.
L’elemento socioeconomico che qualifica la fattispecie, è costituito dalla circostanza che tale commercializzazione consente di perseguire vantaggi economici ulteriori rispetto a quelli assicurati dalla tipica funzione individualizzante il segno distintivo.
Lo sfruttamento economico della notorietà (corporale merchandising) concerne l’utilizzazione di un marchio dentro un settore di mercato diverso da quello nel quale lo stesso ha assunto notorietà. In tal caso sarà possibile individuare un settore di utilizzazione primaria (quello del concedente) ed un settore di utilizzazione secondaria. La differenza tra il corporate merchandising ed il contratto di licenza di marchio sta proprio nel fatto che nel secondo caso la licenza d’uso è concessa per settori uguali o similari a quelli in cui il marchio è utilizzato dal cedente.
Può costituire altresì oggetto di sfruttamento economico la notorietà di personaggi cinematografici, dei fumetti, dei cartoni animati o della letteratura (character merchandising). Infine, il contratto può riguardare lo sfruttamento dell’immagine e/o del nome delle persone fisiche (personality merchandising) che godono di notorietà e popolarità (attori, cantanti, campioni dello sport) ovvero di entità collettive (università, squadre sportive, istituzioni culturali o politiche, eventi sportivi o culturali).
La distinzione rileva in quanto, a seconda dell’oggetto del contratto, entrano in gioco di volta in volta, la disciplina dei marchi, il diritto d’autore, i diritti della personalità. Oggetto della nostra analisi deve essere sicuramente quella categoria di merchandising che abbiamo contraddistinto con il nome corporate merchandising.
L’ammissibilità del contratto di merchandising in tale settore incontrava un esplicito impedimento nella disciplina posta dall’art. 2573 c.c. e dall’art. 15 legge sui marchi (R.D. 929/1942) che subordinavano la validità dell’atto traslativo al coevo trasferimento del ramo aziendale corrispondente all’esclusività dell’uso del segno. In seguito alla riforma operata con il D.Lgs. 480/1992, tali condizioni non ricorrono più nel testo normativo novellato, sicché il marchio può essere ora trasferito o concesso in licenza per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per cui è stato registrato.
La riforma della legge sui marchi ha abbattuto un secondo ostacolo che poneva intralcio alla diffusione del corporate merchandising. Il nuovo testo dell’art. 22 prevede, infatti, che il marchio possa essere registrato non soltanto da chi si proponga di utilizzarlo nella propria impresa ma anche quando si prevede che altre imprese ne facciano uso col consenso del titolare.
Viene così definitivamente sancita la protezione ultramerceologica del marchio celebre: il titolare di un marchio può sfruttarlo senza ostacoli in settori diversi da quelli in cui egli stesso opera, trami-te le imprese che «ne facciano uso con il suo consenso», cioè con cui abbia stipulato contratti di merchandising. Se il limite merceologico per il corporate merchandising della utilizzazione primaria è stato scavalcato nel contesto normativo vigente, rimane comunque il limite della tutela del consumatore cui i prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di merchandising sono diretti.
L’art. 2573 c.c. legittima ora il trasferimento del marchio senza le limitazioni un tempo imposte «purché in ogni caso […] non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico».
L’art. 15 della legge sui marchi stabilisce al comma terzo che il titolare del marchio «può far valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto relativamente alla durata, al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per í quali la licenza è concessa, o alla qualità dei prodotti fabbricati […]».
È da sottolineare che la norma pone una esplicita tutela per la «qualità dei prodotti distinti dal marchio. Ciò è quanto mai logico ancor più nel merchandising rispetto alla licenza comune, in quanto la notorietà della properties è il bene economico-giuridico che indubbiamente resterebbe leso da un’associazione ad essa di prodotti di qualità non positiva (ad esempio, marchi che evocano lusso e raffinatezza devono essere correlati ad alti standard qualitativi). Sotto questo profilo, appare logico ritenere l’ammissibilità anche della cautela ex art. 700 c.p.c. in favore di chi abbia con-cesso in merchandising.
In pratica nel conflitto tra il titolare di un marchio celebre ed il terzo che ne abbia registrato uno identico, ma diretto a distinguere prodotti diversi da quelli
contrassegnati dal predetto titolare non viene in rilievo l’effetto automatica-mente estensivo conseguente alla naturale espansività compresa dentro un certo comparto di mercato, ma piuttosto il potenziale ampliamento dello sfruttamento del segno, oltre la sua funzione individualizzante ed in considerazione del suo effetto soggettivo. Pertanto, mentre può riconoscersi tutela a quelle situazioni che conseguono al cosiddetto merchandising — cioè all’utilizzazione che il titolare persegue di un marchio dentro un settore di mercato diverso da quello nel quale lo stesso ha assunto notorietà— non può comunque pretendersi che la notorietà del marchio tolga i diritti che a questo sfruttamento ulteriore preesistono (nella specie la Corte ha ritenuto che esattamente nella fase di merito era stata applicata la legge n. 929 del 1942, nel testo anteriore alla riforma del 1992) (Cass. 2581998 n. 8409).
Chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di persona notoria, per fini di pubblicità commerciale e pur senza pregiudicare l’onore o il decoro della persona stessa, è tenuto al risarcimento del danno, la cui quantificazione deve essere operata tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, in sè considerato, delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività (nella specie, nel campo dello spettacolo) cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi (Cass. 1641991 n. 4031).
Il marchio celebre o di alta rinomanza, a differenza di quello ordinario, serve al pubblico per ricollegare al marchio non soltanto un prodotto, ma un prodotto di qualità soddisfacente; il che implica una particolare considerazione per il produttore e la correlativa tendenza dei consumatori ad acquistare altri prodotti che venissero posti sul mercato con lo stesso marchio, nel ragionevole convincimento che anche i nuovi prodotti saranno di eccellente qualità: ciò, tuttavia, non è senza limiti, poiché il marchio celebre non desterà una tale fiducia né ove esista una rilevante distanza merceologica tra il vecchio ed il nuovo prodotto né qualora l’uno o l’altro di essi siano altamente specializzati (Cass. 2431983, n. 2060).
Con la denominazione di Merchandising si individua un ampio fenomeno giuridico caratterizzato dallo sfruttamento economico di segni distintivi di particolare notorietà, impiegati per rendere più appetibili nel mercato tali prodotti. In particolare, il titolare di determinate properties conferisce alla controparte il diritto di utilizzarle per contraddistinguere prodotti diversi. (D La forma più diffusa (corporate merchandising) riguarda l’utilizzazione di un marchio dentro un settore di mercato diverso da quello nel quale lo stesso ha assunto notorietà.
L’art. 2573 c.c. al primo comma, sostituito dall’art. 83 del D.Lgs. 4121992, n. 480, stabilisce che «il marchio registrato può essere trasferito o concesso in licenza per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, purché in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico».
L’art. 15 del R.D. 2161942 n. 929 («legge sui marchi»), stabilisce che il titolare del marchio «può far valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata, al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti […] o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati».
Alla luce delle considerazioni svolte la pretesa del nostro utente, titolare di un marchio di abbigliamento di lusso, è sicuramente fondata. Ed infatti, come abbiamo visto attraverso l’analisi della prevalente dottrina, la nostra fattispecie rientra nel caso del corporate merchandising. Come abbiamo esposto nella parte teorica il corporate merchandising concerne l’utilizzazione di un marchio dentro un settore di mercato diverso da quello nel quale lo stesso ha assunto notorietà. L’ammissibilità di tale contratto in passato incontrava un impedimento nella normativa posta dall’art. 2573 c.c. e dall’art. 15 della legge sui marchi che subordinavano la validità dell’atto traslativo al coevo trasferimento del ramo aziendale e all’esclusività dell’uso del segno.
La riforma della legge sui marchi, intervenuta nel 1992, ha stabilito, invece, che il titolare di un marchio può sfruttarlo senza ostacoli in settori diversi da quelli in cui egli stesso opera, tramite le imprese che ne facciano uso con il suo consenso, cioè con cui abbia stipulato contratto di merchandising.
Nel contesto normativo ora vigente, non si può dimenticare che è stato stabilito il principio della protezione ultramerceologica del marchio, ma rimane comunque il limite della tutela del consumatore cui i prodotti contraddistinti dal marchio oggetto del merchandising sono diretti.
Oltre l’art. 2573 c.c. ancora più esplicitamente l’art. 15 della legge sui marchi, stabilisce al comma terzo, che il titolare del marchio può far valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto relativamente alla durata, al modo di utilizzazione del marchio o alla qualità dei prodotti fabbricati. Tale normativa appare sorretta da un ragionamento logico giacché in un contratto quale il merchandising, la notorietà delle properties è il bene economico giuridico che indubbiamente resterebbe leso da un’associazione ad esse di qualità non positiva.
Nella nostra fattispecie un marchio di abbigliamento che richiama lusso e raffinatezza deve essere correlato per forza ad un particolare elevato standard qualitativo (cosiddetto in dottrina status properties) e non certamente ad una scadente produzione di penne stilografiche. Sotto questo profilo, trattandosi di rischio di danno di difficile quantificazione, appare logico ritenere l’ammissibilità della cautela ex art. 700 c.p.c. in favore di chi abbia concesso in merchandising. In generale, comunque, dopo la riforma della legge sui marchi, la tutela più diretta offerta dall’ordinamento a chi sfrutta le sue properties attraverso il merchandising è ravvisabile proprio nella legge sui marchi.