Consulenza Legale sul pagamento delle imposte tributarie connesse all’acquisto di un immobile acquistato dal condominio.
Siamo stati contattati dal sig. Piero.V. condomino dell’edificio sito in Via M….., non avendo pagato la quota di spettanza delle imposte tributarie connesse ad un immobile acquistato dal condominio, veniva citato in giudizio: in particolare, l’amministratore agiva per il mancato pagamento della somma di euro 950,00 di cui Piero veniva ritenuto debitore in virtù di una delibera dell’assemblea di condominio nella quale furono ripartite pro quota, le spese relative all’imposta considerata.
L’assemblea decise a maggioranza senza tuttavia, la presenza di Piero.
Il nostro utente in pratica vuole ottenere un parere legale circa la validità della delibera assembleare!
Il condominio negli edifici è la figura più importante, ed anche più complessa, di comunione.
La singolarità di questa figura sta nel fatto che il singolo condomino è al contempo proprietario esclusivo del suo appartamento e comproprietario, in virtù di comunione forzosa, di alcune parti dell’edificio (il suolo su cui l’edificio poggia, le fonda
menta, le scale, i muri perimetrali, i tetti ecc.).
Il condominio si configura come una struttura organizzata che riproduce, sia pure in embrione, il modello tipico delle associazioni, provvedendo ad una attività di gestione che, in quanto affidata a organi dotati ex lege di poteri essenzialmente inderogabili (art. 1138, comma 4, c.c.), tende ad attribuire all’interesse del condominio una rilevanza oggettiva, distinguendolo dagli interessi soggettivi dei singoli condomini.
Il condominio, anche se contiene una situazione di comproprietà su alcuni beni, si differenzia dalla comunione per alcune sue caratteristiche peculiari: la normale indivisibilità delle parti comuni, la preminenza dell’interesse collettivo rispetto all’interesse dei singoli condomini, un vincolo di destinazione che incide sul godimento delle parti comuni, e, anche se in misura minore, sulla proprietà esclusiva dei singoli condomini.
Con riferimento al profilo organizzativo, inoltre, occorre evidenziare che, mentre nella comunione ordinaria vi è un modello embrionale di organizzazione delineato dal sistema degli artt. 1105-1109 c.c. (ove non si parla mai di «assemblea» e la nomina di un amministratore o la formazione di un regolamento costituiscono mera eventualità), nel condominio, invece, vi è una organizzazione articolata e complessa, quale risulta dal sistema degli artt. 1129-1138 c.c..
Questa articolazione organizzativa del condominio si incentra nella previsione di due organi di gestione: l’assemblea e l’amministratore.
L’amministratore (amministratore di condominio) è l’organo esecutivo del condominio. Le attribuzioni dell’amministratore sono stabilite dall’art. 1130 c.c. e riguardano l’esecuzione delle delibere assembleari, la disciplina dell’uso delle cose comuni, la gestione delle spese per la manutenzione di ali cose ed il compimento degli atti conservativi dei diritti inerenti alle cose comuni dell’edificio, ivi comprese le azioni giudiziarie. L’assemblea è l’organo deliberativo del condominio.
Per poter validamente deliberare deve essere regolarmente costituita, e, a tal fine, è necessario che tutti i condomini siano invitati a partecipare, e che intervenga un numero minimo di condomini che sia espressione di un determinato valore dell’edificio (quorum). Per la formazione della volontà comune, la legge, all’art. 1136 c.c., fissa il principio maggioritario.
Di regola, per le decisioni dell’assemblea, è richiesta la maggioranza semplice; per la validità delle deliberazioni aventi ad oggetto innovazioni (art. 1136, comma 5, c.c.), invece, è richiesta una maggioranza qualificata.
Condominio e spese tributarie
Infine, per gli atti di alienazione (e, più in generale, per tutti gli atti di disposizione) non basta una deliberazione adottata a maggioranza (seppur qualificata), ma occorre il consenso di tutti i condomini, giusta la regola generale dettata dall’art. 1108, comma 3, c.c., e applicabile al condominio in virtù del rinvio di cui all’art. 1139 c.c..
Le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie anche per i condomini dissenzienti o assenti: i quali, però, possono impugnarle entro 30 giorni, che decorrono rispettivamente dalla data della deliberazione o da quella della relativa comunicazione, quando esse risultino contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ferma restando, comunque, la nullità, invocabile senza limiti di tempo, delle deliberazioni prive di requisiti essenziali o caratterizzate da un oggetto impossibile o illecito.
Il vincolo di destinazione dell’edificio in condominio, e in particolare delle parti e dei servizi comuni, è alla base dei vari criteri di ripartizione delle spese di manutenzione dettati dagli artt. 1123-1126 c.c. Tali criteri, infatti, si ispirano sostanzialmente ad un unico principio: quello secondo cui le spese debbono essere ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può fare di quelle parti e di quei servizi (1123, comma 2, c.c.).
La legge (art. 1123, comma 1, c.c.), in realtà, presume che i condomini usino nella stessa misura delle parti e dei servizi comuni. Tuttavia, tale presunzione può essere vinta dalla prova che, in concreto, certe parti o servizi comuni sono destinate a servire i condomini in misura diversa, ovvero sono poste a servizio non di tutti i condomini ma solo del «gruppo» che ne trae utilità.
In certi casi è la legge stessa che, prendendo atto di tale uso differenziato delle cose comuni, stabilisce specifici criteri di ripartizione delle relative spese; come avviene, ad esempio, per le spese per la manutenzione delle scale, dei soffitti, dei solai ex artt. 1124, 1125, 1126 c.c. Secondo l’impostazione oggi prevalente tali criteri di riparto non sono inderogabili, ma è possibile che vengano sostituiti con altri criteri, purché vi sia una convenzione stipulata da tutti i condomini.
La giurisprudenza, pertanto, richiede che le delibere assembleari che comportano la modifica dei criteri legali di riparto delle spese siano prese all’unanimità. Non sarebbe allora sufficiente una delibera adottata con la maggioranza richiesta dall’art. 1136 c.c. . Né potrebbe evincersi il contrario dal disposto dell’art. 1135 c.c., posto che tale norma nell’attribuire all’assemblea il compito di approvare la ripartizione delle spese, non conferisce ad essa un potere discrezionale in ordine al riparto delle spese, ma sta a significare, soltanto, che l’assemblea deve verificare se le spese sono state ripartite secondo il criterio legale o convenzionale.
In tema di condominio non rientrano nella competenza dell’assemblea le spese fiscali riguardanti parti comuni dell’edificio, quando si tratta di spese afferenti all’acquisto del diritto sui beni comuni e non alla gestione di essi. Come gli atti di trasferimento intercorrono tra i terzi e i singoli condomini, del pari i rapporti tributari si instaurano tra l’amministrazione finanziaria e i singoli partecipanti al condominio.
L’assemblea non può, quindi, deliberare e ripartire tra i condomini i tributi dovuti dai singoli per l’acquisto di beni destinati al servizio comune anche se detti beni appartengono in comune a tutti i condomini (Cass. 195-2004, n. 9463).
Alla stregua della stessa lettera dell’art. 1123 cod. civ., la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell’assemblea, quando approvata da tutti i condomini.
Le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si deroga una tantum ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, sono nulle.
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell’assemblea ex art. 1135 cod. civ. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell’edificio condominiale in misura non superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto è nulla e non meramente annullabile, anche se presa all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’ari. 1126 cod. civ., senza che i condomini abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso, con la conseguenza che detta nullità può essere fatta valere, a norma dell’art. 1421 cod. civ., anche dal condomino che abbia partecipato all’assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (Cass. civ., sez. Il, 3593, n. 5125).
In terna di condominio degli edifici ed in ordine alla ripartizione delle spese comuni, le attribuzioni dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 n. 2 cod. civ., sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe, venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto, la deliberazione assembleare, che modifichi detti criteri, è inefficace, nei confronti del condomino dissenziente, per nullità radicale deducibile senza limitazioni di tempo, e non meramente annullabile su impugnazione da proporsi entro trenta giorni, ai sensi dell’ari. 1137 secondo e terzo comma cod. civ. (Cass. civ., Sez. Un., 5580, n. 2928).
Il condominio negli edifici è una species del genus comunione, che si verifica allorquando gli appartamenti di un edificio appartengano a soggetti diversi, sicché ciascuno è proprietario esclusivo del proprio appartamento ed è contitolare, insieme agli altri, della proprietà delle parti dell’edificio che servono a tutti per l’uso dell’edificio stesso.
L’ assemblea è l’organo deliberativo del condominio; per la formazione della volontà comune , la legge, all’art. 1136 c.c., fissa il principio maggioritario;
Il potere dell’assemblea di decidere a maggioranza è circoscritto a materie ben definite. Non entrano nella competenza dell’assemblea le spese tributarie riguardanti parti comuni dell’ edificio, quando si tratta di spese afferenti all’acquisto del diritto sui beni comuni e non alla gestione di essi.
Alla luce delle considerazioni e motivazioni esposte il nostro parere giuridico è il seguente.
La questione pone un problema che involge i poteri dell’assemblea condominiale, in particolare vengono in rilievo i poteri ad essa attribuiti in merito alla ripartizione delle spese. noto che all’assemblea dei condomini i poteri sono conferiti specificamente dalla legge, ed in particolare l’art. 1135 c.c. prevede tra le attribuzioni anche quella relativa all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini.
Poiché l’assemblea decide con il metodo collegiale e a maggioranza, e le sue deliberazioni sono efficaci e vincolanti anche nei confronti dei condomini assenti o dissenzienti, si ritiene, in dottrina ed in giurisprudenza, che il potere dell’assemblea di decidere a maggioranza è circoscritto a materie ben definite.
Si è autorevolmente osservato al riguardo che «l’assemblea configura una sorta di autorità privata, cui è riconosciuto un potere insolito nel sistema del diritto privato, dominato dal modello dell’autonomia, in cui i singoli sono vincolati soltanto dagli atti posti in essere con la loro volontà» (Cass. 19 maggio 2004 n. 9463). Non appare, pertanto, conforme al sistema della legge l’opinione, che assegna all’assemblea una competenza generalizzata in tema di spese per le parti comuni.
La giurisprudenza, di recente, ha chiarito che non si comprendono nella competenza dell’assemblea le spese concernenti l’attribuzione, vale a dire la titolarità delle parti comuni, posto che la disposizione del diritto riguarda individualmente i singoli condomini, i quali operano con lo strumento dell’autonomia privata, e cioè con il negozio.
Perciò non entrano nella competenza dell’assemblea le spese tributarie riguardanti parti comuni dell’ edificio, quando si tratta di spese afferenti all’acquisto del diritto sui beni comuni e non alla gestione di essi. Come gli atti di trasferimento intercorrono tra i terzi ed i singoli condomini, del pari i rapporti tributari si instaurano tra l’Amministrazione finanziaria ed i singoli partecipanti al condominio. L’assemblea non può, quindi, deliberare e ripartire tra i condomini i tributi dovuti dai singoli per l’acquisto di beni destinati al servizio comune anche se detti beni appartengono in comune a tutti i condomini.
Alla luce di tali argomentazioni, deve ritenersi infondata la pretesa dell’amministratore, stante la invalidità della delibera assembleare formatasi in assenza del Sig. Piero V..
Se è possibile, infatti, per i condomini riuniti in assemblea stipulare un negozio giuridico, occorre sempre e comunque che questo sia conseguenza di un atto, espressione dell’autonomia negoziale, non bastando una semplice manifestazione di voto.
Pertanto ai fini del perfezionamento del negozio sono necessari sia la presenza che la manifestazione di volontà di tutti i partecipanti al condominio, non essendo assolutamente sufficiente, in applicazione del principio maggioritario, la presenza, come nel caso in esame, di una parte di essi.