I concorsi pubblici possono prevedere nel bando una riserva per i residenti?
Il problema è stato più volte affrontato dalla Corte costituzionale. I giudici hanno applicato il principio secondo cui l’accesso in condizioni di parità ai pubblici uffici può subire deroghe (in particolare, richiedendo una specifica residenza), solo in casi specifici.
Può chiedersi quindi una specifica residenza nel bando di concorso quando questa è ricollegabile, come mezzo (nesso di causalità), alla finalità di assolvere validamente a specifici servizi, non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato da persona non residente.
D’altro canto, l’articolo 39 del Trattato dell’Unione assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità europea.
Sicché è vietata l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro; analogo principio opera come diritto di spostarsi liberamente a scopi lavorativi nel territorio degli Stati membri e di prendere dimora in uno di questi al fine di svolgervi un’attività di lavoro.
Quindi la Pubblica Amministrazione non può inserire quale requisito di accesso al bando di concorso la residenza ma è obbligata innanzitutto a rendere pubblico il concorso con le procedure previste e soprattutto a rendere libero l’accesso a tutti i residenti di Italia.
Tuttavia la P.A. all’indomani del concorso, può stabilire che la residenza può divenire elemento di selezione, ad esempio dando priorità (a parità di punteggio) a chi risieda a minore distanza dal luogo di svolgimento dell’attività (articolo 49, comma 4, della legge regionale siciliana 15/2004), e ciò al fine di ottenere una migliore prestazione. Questa finalità di efficienza ed aderenza alle esigenze locali, nel 2010 aveva indotto un Comune veneto a prevedere una prova di “dialetto” per i nuovi vigili urbani, ma sempre a valle di un concorso aperto tutti. …
In sintesi, possono essere ammesse ragionevoli discriminazioni fra concorrenti basate sulla residenza, purché queste siano corrispondenti a situazioni connesse con l’esistenza di particolari e razionali motivi di più idonea organizzazione di servizi.
Requisiti per l’ammissione
In base all’art. 2 del D.P.R. 487/1994 per accedere agli impieghi civili nelle pubbliche amministrazioni bisogna possedere i seguenti requisiti generali:
– Cittadinanza italiana. Tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti alla Unione europea, fatte salve le eccezioni di cui al D.P.C.M. 7 febbraio 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 1994, serie generale n. 61.
– Maggiore età. Il precedente limite di 40 anni è stato abolito secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 6, L. 127/1997: “la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione”.
– Idoneità fisica all’impiego. L’amministrazione ha facoltà di sottoporre a visita medica di controllo i vincitori di concorso, in base alla normativa vigente.
– Godimento dei diritti politici. Non possono accedere agli impieghi coloro che siano stati esclusi dall’elettorato politico attivo.
– L’assenza di cause ostative all’accesso. Non possono accedere agli impieghi coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una Pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’articolo 127, primo comma, lettera d), del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
– Titolo di studio. Il titolo richiesto è espressamente indicato dal bando (diploma, laurea, specializzazione, dottorato).
Si ricorda che secondo quanto stabilito dall’art. 37 del D. Lgs. 165/2001 a decorrere dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni prevedono “l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera”.
Fonte: studio legale Samuele
Web Content Editor Daniele Giammarelli