DOPPIO LAVORO DIPENDENTI PUBBLICI – SUPER PRIVILEGIATI I PROFESSORI UNIVERSITARI

Differenze di trattamento nel pubblico impiego sulle Incompatibilità –

Sei un dipendente pubblico nella qualità di Professore Universitario?

Tanto di cappello all’università ed ai nostri docenti e alla ricerca, ma necessita sempre di una spiegazione la disuguaglianza subita dai pubblici dipendenti.

Attenzione:

L’articolo 1, comma 60, della legge 662/96, afferma che per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, stabilisce il divieto di “svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia concessa”.

In proposito, l’articolo 53 (Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi) del d. lgs. 165/2001 prevede che:

– possano essere conferiti incarichi in casi disciplinati dalla legge o da altre fonti normative, ovvero che i dipendenti pubblici e dunque gli stessi docenti, possano svolgere incarichi laddove autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza (comma 2);

– l’autorizzazione in questione, che deve essere richiesta all’Amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l’incarico o richiesta dal dipendente interessato stesso, è attribuita secondo “criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente” (comma 5);

– è prevista la previa autorizzazione per tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, per i quali è previsto sotto qualsiasi forma un compenso, fatta eccezione per i seguenti incarichi retribuiti (comma 6):

a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

c) partecipazione a convegni e seminari;

d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica

– “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. 

Invece per quanto concerne i professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto” (comma 7).

Hai capito?! Si rimanda allo statuto o ai regolamenti, adottati d’altronde dal personale dell’università stessa (consiglio di amministrazione etc).

Si può praticamente dire che i professori universitari sono raccomandati dalla stessa legge cioè sono dallo Stato e pertanto possono liberamente esercitare il secondo lavoro dare soddisfazione a nessuno se non ai propri regolamenti e statuti.

Invece per tutti gli altri comuni dipendenti pubblici, per esempio, i pubblici impiegati degli enti locali, dei ministeri, dell’università medesima (personale tecnico-amministrativa) vige la legge severa.

Poi come il professore universitario riesca a conciliare la sua professione di docente con il secondo lavoro, considerata l’importanza e il prestigio e lo stipendio di cui gode già  …………………    invece un dipendente regionale, provinciale, che il pomeriggio spesso è libero, è costretto a non poter lavorar ovvero indotto a lavorare a nero. Indotto dalla disuguaglianza di diritti e doveri tra dipendenti pubblici.

Vi è di più. Oramai non pochi sono i professori universitari che fanno parte di vere e proprie società srls o srl di consulenza. Sono numerose queste società in Italia.

Speriamo che la nuova Ministra Giulia Buongiorno, alla Pubblica Amministrazione, faccia urgentemente qualcosa e pone rimedi a queste infinite e secolari aristocratiche disuguaglianze.

 

Fino all’entrata in vigore della legge n. 240/2010 la normativa generale, facendo riferimento a tutti i dipendenti pubblici, ha riservato ai docenti universitari un regime speciale, operando un rinvio a statuti e regolamenti di ateneo.

n particolare, l’articolo 6 della legge n. 240/2010, al comma 9, statuisce che “la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industria fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitarie” e che “l’esercizio di attività libero-professionale è’ incompatibile con il regime di tempo pieno”.

Il successivo comma 10 della medesima legge prevede che i professori a tempo pieno, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, e conseguentemente senza la necessità di acquisire un’autorizzazione preventiva:

a) attività di valutazione e referaggio;

b) lezioni e seminari di carattere occasionale;

c) attività di collaborazione scientifica e di consulenza;

d) attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale;

e) attività pubblicistiche ed editoriali.

Lo stesso comma 10, inoltre, prevede che professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”.

Il comma 12, infine, prevede che “i professori e i ricercatori a tempo definito possono svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza” e stabilisce altresì che gli stessi possono svolgere attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del Rettore, che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali.

Per completare il quadro normativo delle incompatibilità delineato dall’articolo 6 (Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo) della legge n. 240/2010, va infine rammentato che l’ultima parte del comma 9 del citato articolo prevede che “resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (…)”.

Il menzionato articolo 13 del DPR n. 382/1980, in particolare, stabilisce che “il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa per la durata della carica del mandato o dell’ufficio” nei seguenti casi:

1) elezione al Parlamento nazionale od europeo;

2) nomina alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, di Ministro o di Sottosegretario di Stato;

3) nomina a componente delle istituzioni delle comunità europee;

4) nomina a giudice della Corte costituzionale;

5) nomina a presidente o vice presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro;

6) nomina a membro del Consiglio superiore della magistratura;

7) nomina a presidente o componente della giunta regionale e a presidente del consiglio regionale;

8) nomina a presidente della giunta provinciale;

9) nomina a sindaco del comune capoluogo di provincia;

10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro. Restano in ogni caso escluse le cariche comunque direttive di enti a carattere prevalentemente culturale o scientifico e la presidenza, sempre che non remunerata, di case editrici di pubblicazioni a carattere scientifico;

11) nomina a direttore, condirettore e vice direttore di giornale quotidiano o a posizione corrispondente del settore dell’informazione radio-televisiva;

12) nomina a presidente o segretario nazionale di partiti rappresentati in Parlamento:

13) nomine ad incarichi dirigenziali di cui all’articolo 16 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, o comunque previsti da altre leggi presso le amministrazioni dello Stato, le pubbliche amministrazioni o enti pubblici economici

MA DOVE STA L’INGHIPPO?

In questo contesto normativo un ruolo piuttosto importante non può che essere svolto dai regolamenti di ateneo – la cui potestà discende dall’autonomia universitaria garantita dall’articolo 33 della Costituzione – i quali potrebbero colmare attualmente quegli spazi aperti o contraddittori che si evidenziano dal confronto delle attuali normative sulla materia dell’incompatibilità (si pensi al d. lgs. 39/2013) o che hanno riformato il diritto societario (soprattutto in materia di società a partecipazione pubblica e società in house providing), rispetto alla disciplina meno recente di cui al DPR n. 382/1980, pur richiamata dalla stessa legge Gelmini.


Tuttavia, anche la potestà regolamentare delle Università impatta su due ordini di problemi: da un lato, la disparità di trattamento che potrebbe determinarsi tra professori e ricercatori a seconda dell’ateneo di appartenenza (stante la vigenza, quantunque incompleta) di una normativa nazionale e dall’altro, la circostanza che le autorizzazioni conferite sulla base della disciplina regolamentare di ciascuna Università non sono esenti, come vedremo, dalle sanzioni eventualmente irrogate dalla Corte dei conti.

A mio avviso i regolamenti universitari innanzitutto, non devono essere contrari alle norme sulle incompatibilità degli altri dipendenti pubblici, sicché sia i professori universitari che gli altri dipendenti pubblici che non sono docenti o hanno entrambi la possibilità di un secondo lavoro o niente per nessuno.

Ferma restando la facoltà di inserimento nei Regolamenti interni dei singoli Atenei di specifiche previsioni od eccezioni al regime generale di incompatibilità per i professori a tempo pieno, dall’attribuzione della potestà in capo al singolo ateneo discende l’opportunità di una valutazione caso per caso in relazione al rischio che lo svolgimento di incarichi esterni determini conflitto di interesse o pregiudizio per il corretto svolgimento delle funzioni del docente.

Quindi non restiamo fermi, ma i professori a questo punto possono inserire deroghe al regime di incompatibilità nel pubblico impiego attraverso il loro apporto nei regolamenti universitari?

 

http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/411-i-docenti-sotto-indagine/

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