L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
L’attività amministrativa è quella attività mediante la quale determinate figure soggettive (organi statali o di altra P.A.) all’uopo preposte provvedono alla cura degli interessi pubblici ad essi affidati. L’individuazione del fine da perseguire, la sua qualifica-zione come pubblico e la sua assegnazione alla P.A. sono operate in sede di indirizzo politico, alla cui determinazione concorrono organi cui è attribuita la funzione politica o di Governo.
In particolare, la funzione amministrativa si caratterizza, sul piano soggettivo-formale, per essere affidata, in base a norme di legge, ad una pluralità di figure soggettive che compongono il complesso organizzatorio denominato «Pubblica Amministrazione»; e, sul piano oggettivo-contenutistico, per estrinsecarsi nella cura di interessi pubblici in modo diretto ed immediato (in tal modo differenziandosi sia dalla funzione legislativa, la quale stabilisce in modo astratto e generale come determinati interessi debbano essere curati, sia dalla funzione giurisdizionale, la quale accerta che l’attività legislativa sia rispettata).
I principali criteri informatori dell’attività amministrativa
I principali criteri che informano la moderna attività amministrativa, rendendola più aderente ai principi democratici del nostro Paese, sono:
– procedimentalizzazione: l’attività amministrativa tende sempre più a svolgersi non attraverso singoli atti bensì mediante serie di atti concatenati e coordinati ognuno dei quali si pone come presupposto di legittimità o di efficacia dell’atto successivo e del provvedimento finale che costituisce l’esito del procedimento;
— pianificazione e programmazione: tendenti ad ottimizzare l’azione amministrativa scindendola in due momenti essenziali (programmazione ed esecuzione). La programmazione è la fase in cui vengono fissati obiettivi e stabiliti i criteri direttivi (tempi, luoghi, modalità etc.) da seguire per la loro realizzazione; trasparenza e accessibilità degli atti: il principio di trasparenza viene cristallizzato come regola di condotta per la pubblica amministrazione, alla quale è imposto di pubblicare, comunicare e rendere accessibili ai privati notizie, informazioni e documenti;
— maggiore utilizzazione degli istituti di diritto privato: la profonda e progressiva evoluzione del concetto di attività amministrativa ha fatto dì che essa, nella sua azione di raggiungimento dei fini di interesse generale, possa avvalersi non più soltanto degli strumenti giuridici propri del diritto pubblico, ma anche e soprattutto di quelli del diritto privato (art. 1, comma I bis, L. 241/1990, come novellata dalla L. 15/2005);
— tecnicizzazione ed informazione: l’azione amministrativa tende sempre più alla informatizzazione degli strumenti da essa utilizzati, al fine di rendere più celeri i procedimenti amministrativi e, così, consentire una maggiore democraticizzazione dell’azione amministrativa.
Quanto alle tipologie in cui può concretizzarsi l’attività amministrativa, la dottrina ha individuato le seguenti:
— attività amministrativa attiva: vi rientra tutta l’attività posta in essere direttamente da una pubblica amministrazione per realizzare le proprie finalità pubbliche;
— attività amministrativa consultiva: vi rientrano quelle attività dirette a fornire, sotto forma di pareri, consigli, direttive ed orientamenti alle autorità che devono concretamente agire;
— attività amministrativa di controllo: è quella attività diretta a sindacare secondo diritto (controllo di legittimità) ovvero secondo le regole della buona amministrazione (controllo di merito) l’operato dei soggetti agenti cui sono affidati compiti di amministrazione attiva.
COSA SONO GLI ATTI GIURIDICI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ?
Gli atti posti in essere dalla P.A. possono essere:
- a) atti di diritto pubblico: sono atti posti in essere secondo i principi e le forme del diritto pubblico. Tali sono tutti gli atti ed i provvedimenti amministrativi. Nello svolgimento dell’attività di diritto pubblico, la P.A., in quanto si presenta come soggetto pubblico, dotato di poteri di imperio, si pone su un piano di supremazia rispetto ai destinatari dei propri atti;
- b) atti di diritto privato: nulla impedisce che una pubblica amministrazione ponga in essere anche negozi di diritto privato; in tali casi essa agisce su di un piano di parità rispetto agli altri soggetti privati dell’ordinamento (e può anche trovarsi in una posizione di inferiorità rispetto ad altra amministrazione che agisca in regime di diritto pubblico).
Si noti che, nonostante in alcuni casi la P.A. operi nelle forme del diritto privato, il fine dell’attività amministrativa è, e resta, sempre pubblico: ciò che cambia è solo il mezzo attraverso cui quel fine è raggiunto: attività di diritto pubblico nell’un caso, di diritto privato nell’altro. Tuttavia restano regolati dal diritto amministrativo la formazione e l’esternazione della volontà contrattuale della P.A.
In tale prospettiva si colloca la previsione generale contenuta nell’ art. 1, comma Ibis, della L. 241/1990, ai sensi del quale «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente»: dalla lettera della disposizione non sorgono dubbi sul fatto che il legislatore ha inteso formalizzare una piena e generale capacità di diritto privato dell’amministrazione.
Circostanza, questa, confermata dalla portata, soggettiva ed oggettiva, della norma de qua: sotto il primo profilo, non vi è dubbio che il richiamo generico alla P.A. è da intendersi come richiamo a tutte le amministrazioni e ai soggetti pubblici in generale, considerato anche che il legislatore non opera alcuna distinzione di sorta. Dal punto di vista oggettivo, invece, la norma di cui all’art. 1, comma Ibis, della legge sul procedimento è stata interpretata nel senso dell’introduzione nell’ordinamento del principio «secondo cui ciò che sfugge ad una regolamentazione di tipo pubblicistico da parte dell’Amministrazione, è regolamentato da norme di diritto privato».
Il riconoscimento di tale generale capacità comporta che l’amministrazione può stipulare qualsiasi tipo di contratto, tipico o atipico, con il solo limite che tale capacità può essere attuata «soltanto nei casi in cui vi sia attinenza con le finalità pubbliche».
CHE COSA SI INTENDE PER DISCREZIONALITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La distinzione tra attività vincolata e attività discrezionale attiene al rapporto che, di volta in volta, intercorre tra l’attività amministrativa e la legge. Occorre, infatti, premettere che l’attività amministrativa non è mai libera, perché i fini d’ interesse generale, cui essa mira, sono sempre predeterminati dalla legge.
Peraltro, se il legislatore, nel disciplinare un’attività amministrativa, non solo ha indicato i fini che l’attività stessa deve perseguire, ma ha anche disposto quando, in che modo, con quale contenuto e con quali mezzi l’attività stessa deve esplicarsi, tale attività si dice vincolata perché è un’attività nel cui esercizio nulla è lasciato alla libera scelta dell’organo che deve esercitarla. Se, invece, il legislatore, dopo avere indicato i fini che l’attività deve perseguire ha lasciato un certo margine di scelta (cd. apprezzamento) all’autorità che deve esercitarla, nel senso cioè di rimettere alla sua determinazione il quando esercitarla, il modo di esercizio, il contenuto da dare in concreto all’ atto da compiere e/o il mezzo con cui esercitarla, l’attività si qualificherà discrezionale. La discrezionalità può, pertanto, definirsi come la facoltà di scelta fra più comportamenti leciti, lasciata all’autorità amministrativa nell’esercizio di un potere, per conseguire il soddisfacimento di un interesse pubblico individuato dalla legge.
Costituiscono limiti all’attività discrezionale:
- a) l’interesse pubblico: da intendere come interesse della collettività, che non è l’interesse proprio della P.A. né tanto meno la somma degli interessi individuali. Tale interesse deve essere concreto, obiettivo e collettivo;
- b) la causa del potere: cioè il potere in base al quale l’atto è emanato e si identifica con il fine specifico per cui il potere è stato conferito. L’attività discrezionale, come detto, deve sempre perseguire un fine rispondente alla causa del potere esercitato;
- c) i principi di logica e di imparzialità: che accanto al principio di legalità debbono sempre reggere l’attività amministrativa;
- d) il principio dell’esatta e completa informazione. In ogni caso, però, anche quando alla P.A. sia attribuito il più ampio potere discrezionale, come nel caso degli atti di alta amministrazione, limite fondamentale dell’attività amministrativa è quello determinato dalla necessità di perseguire la cura dell’interesse pubblico generico, nonché quella particolare finalità d’interesse pubblico (cd. interesse pubblico specifico) che la legge pone come ragione giustificatrice (cioè causa) del potere attribuito alla P.A.
Ferma restando tale necessità, la P.A. dovrà compiere le proprie scelte discrezionali tenendo presenti anche quegli interessi (non solo pubblici, generici e specifici, ma altresì privati) coinvolti dall’azione amministrativa, in modo tale che il conseguimento del fine primario (l’interesse pubblico specifico) si realizzi col minore sacrificio possibile di essi.
Diversa dalla discrezionalità amministrativa è la «discrezionalità tecnica», che consiste in un potere di valutazione di carattere tecnico, da effettuarsi in base alle regole, alle cognizioni ed ai mezzi forniti dalle varie scienze ed arti. Ad esempio, è espressione di discrezionalità tecnica il giudizio sulla pericolosità epidemica di una malattia, sui pregi artistici di un dipinto, sulla preparazione di un candidato ad un pubblico concorso etc.
I PRINCIPI COSTITUZIONALI DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
Il principio di buon andamento ed imparzialità
L’ art. 97 Cost., al comma 1, sancisce che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Tale articolo, in particolare:
— garantisce l’indipendenza e la neutralità della P.A. da influenze politiche sia sotto il profilo attivo (buona amministrazione: raggiungimento più sollecito, opportuno e congruo dei fini della P.A.) che passivo (imparzialità della P.A. verso cittadini, impiegati, funzionari etc.);
— si indirizza immediatamente e programmaticamente al legislatore, dettando i principi fondamentali che devono ispirare la legislazione, e, mediatamente e precettivamente, alla P.A. sulle quali grava il dovere di provvedere alla cura dei pubblici bisogni. In particolare, il principio di imparzialità afferma l’obbligo per la P.A. di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia.
Il principio di legalità
Il principio di legalità afferma la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni di legge. Esso costituisce un principio generale dell’ordinamento italiano, che attiene particolarmente ai rapporti fra legge ed attività amministrativa. In particolare, «il principio di legalità esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata alla legge, anche se esso, nella sua accezione più lata, è applicabile non solo all’amministrazione, bensì a qualsivoglia potere pubblico».
Il principio di buona amministrazione
Il principio di buona amministrazione (art. 97 Cost.) indica l’obbligo per i funzionari amministrativi, e in genere per tutti gli agenti dell’amministrazione, di svolgere la propria attività secondo le modalità più idonee ed opportune al fine della efficacia, efficienza, speditezza ed economicità dell’azione amministrativa, con il minor sacrificio degli interessi particolari dei singoli.
Quindi, buona amministrazione può ritenersi quella che riesce, nei limiti del possibile, a soddisfare i seguenti criteri generali: economicità; rapidità; efficacia (raffronto tra risultati conseguiti ed obiettivi programmati); efficienza (raffronto tra risorse impiegate e risultati conseguiti); miglior contemperamento degli interessi; minor danno per i destinatari dell’azione amministrativa.
Costituiscono articolazioni del principio di buona amministrazione i criteri di efficacia, di economicità, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, enunciati dall’art. 1 della L. 241/1990 in tema di procedimento amministrativo.
Il principio di ragionevolezza
Il principio di ragionevolezza costituisce, anche alla luce della L. 241/1990, un criterio in cui confluiscono i principi di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento: in forz di tale principio, l’azione amministrativa, al di là del rispetto delle prescrizioni normative, deve adeguarsi ad un canone di razionalità operativa, sì da evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali.
La violazione di detto principio di ragionevolezza comporta un vizio di eccesso di potere, in particolare in relazione alle figure sintomatiche del difetto di motivazione (es.: si disattende immotivatamente il tenore di un parere precedentemente acquisito), o di ingiustificata disparità di trattamento (ove ci si comporti in maniera diversa dinanzi a situazioni analoghe) o di contraddittorietà della motivazione stessa.
Il principio del decentramento amministrativo
Il decentramento amministrativo si traduce nel trasferimento di competenze e poteri decisionali dagli organi centrali statali agli organi periferici o ad altri soggetti. L’art. 5 Cost. espressamente sancisce che la Repubblica attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo. Con la L. 59/1997 si è avviato il processo di conferimento alle Regioni e agli enti locali delle funzioni e dei compiti amministrativi, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Il principio della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi L’art. 24 Cost. afferma il principio della azionabilità in giudizio delle situazioni giuridiche vantate dai cittadini nei confronti della P.A.; l’art. 113 Cost. sancisce il principio della sindacabilità degli atti amministrativi, garantendo la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa.
Il principio di finalizzazione dell’attività amministrativa e il principio democratico Con il principio di finalizzazione si intende indicare la necessità che l’attività amministrativa sia finalizzata al perseguimento degli interessi pubblici. Il principio democratico, riferito all’ attività amministrativa, deve essere inteso nel senso che l’azione amministrativa deve concorrere a realizzare una società più democratica, rimuovendo, ad esempio, gli ostacoli alla realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini.
IL PRINCIPIO DD TRASPARENZA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA: DALLA L. 241/1990 AL D.LGS. 150/2009
Accanto ai principi’ che si sono fin qui esaminati il legislatore, ma ancor prima la dottrina amministrativa e la giurisprudenza, ha focalizzato l’attenzione, tra l’altro, sul cd. principio di trasparenza dell’azione amministrativa, da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della P.A. al fine di garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale. Tale principio, in particolare, impone la pubblicità dell’azione della P.A. nei confronti dei governati a cui è demandato il potere di valutazione del principio di legalità dell’azione amministrativa.
Fondamentali articolazioni del principio di trasparenza, anch’esse soddisfatte dalla L. 241/1990, sono:
- a) l’obbligatorietà della motivazione del provvedimento amministrativo (art. 3 L. 241/1990), con conseguente possibilità da parte del privato di controllare l’esattezza dell’operato della P.A.;
- b) il diritto dei privati di partecipare attivamente al procedimento amministrativo, sì da controllare dall’interno lo sviluppo dell’azione dei pubblici poteri (cd. principio del giusto procedimento: art. 7 L. 241/1990).
L’ iter di riforma delle pubbliche amministrazioni, articolatosi nel nostro ordinamento a partire dagli anni Novanta, ha molto spesso ampliato il contenuto del principio di trasparenza, attraverso una serie di interventi concreti, tra cui ricordiamo:
— l’istituzione degli URP (uffici relazioni con il pubblico, ex art. 11 D.Lgs. 165/2001), che ogni P.A. è tenuta ad individuare nell’ ambito della propria organizzazione;
— la L. 15/2009, la quale prevede che uno degli ambiti in cui l’azione del Governo dovrà esplicarsi, nell’esercizio della delega, sarà, tra l’altro, l’attuazione del principio di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento all’accessibilità delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle amministrazioni medesime. Tale delega è stata attuata con l’art. 11 del D.Lgs. 27-10-2009, n. 150;
— la L. 69/2009, attraverso la quale sono state apportate modifiche alla legge sul procedi-mento amministrativo, che ribadisce la fondamentale importanza del principio di trasparenza.
Ciò è confermato, tra l’altro, dalla modifica al secondo comma dell’art. 22 della L. 241/1990, in tema di accesso ai documenti: viene, difatti, ribadito che l’accesso, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione nonché di assicurarne la trasparenza e l’imparzialità.